L’emergenza pandemica di questo periodo sta mettendo a dura prova grandi e piccole imprese. Nel caso dell’impresa di famiglia, in particolare, le “nuove generazioni”, per le quali questa crisi non ha precedenti, potrebbero improvvisamente trovarsi a dover gestire (o far sopravvivere) l’azienda di famiglia senza essere preparati e senza avere modelli aziendali adeguati né possibilità di fare previsioni sul medio e lungo periodo.
Una delle migliori strategie per trasferire un’azienda familiare un discendente è il frazionamento della stessa in aree di business che restino distinte tra loro. Tipicamente l’attività operativa viene tenuta separata dalle altre attività, quali, ad esempio, quella immobiliare o la detenzione di partecipazioni in società “destinate” nei piani dell’imprenditore ad uno specifico soggetto non assegnatario del ramo operativo.
Ecco che allora si realizza, nell’ambito del patto di famiglia, la perfetta combinazione tra operazioni societarie, salvaguardia dell’integrità e continuità aziendale, realizzazione delle volontà successorie dell’imprenditore.
Dal punto di vista civilistico, il patto di famiglia risulta più interessante rispetto ad altri strumenti per il fatto che, una volta stipulato, rende non contestabili le attribuzioni pattuite, anche se lesive della quota di legittima.
Con riguardo agli aspetti fiscali, il patto è ricompreso nel campo di applicazione dell’imposta di successione e donazione, generalmente applicabile ai trasferimenti di beni o diritti per successione, donazione o altra liberalità.
Pur essendo già il nostro paese un “paradiso fiscale” quanto ad aliquote di tassazione e franchigie applicabili, il trasferimento dell’azienda dal disponente al soggetto legittimario assegnatario può avvenire, ricorrendone i presupposti, in totale esenzione d’imposta.
L’art. 3 comma 4-ter del D.Lgs. n. 346/90 dispone, infatti, che non sono soggetti all’imposta i trasferimenti di aziende o rami di esse, di quote sociali o azioni effettuati, anche tramite i patti di famiglia, a favore dei discendenti e del coniuge. Ciò purché l’assegnatario si impegni a proseguire l’esercizio dell’impresa – ovvero a mantenere il “controllo” della società partecipata – per almeno cinque anni.
Nel caso di trasferimento della sola nuda proprietà, con esclusione del diritto di voto, non potrà realizzarsi la condizione per l’esenzione e troveranno applicazione le regole ordinarie di tassazione (con le aliquote dell’imposta di donazione previste a seconda del grado di parentela o affinità con il donante), sebbene commisurata a una base imponibile inferiore.
Quanto alla fiscalità cui sono soggette le compensazioni a beneficio dei soggetti non assegnatari dell’azienda (o delle partecipazioni), esse sono ricomprese nel campo di applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni, trattandosi di atti a titolo gratuito che non godono di alcun trattamento agevolativo rispetto alle regole ordinarie di tassazione.
Concludendo, il patto di famiglia consente all’imprenditore di ottenere anche in tempi piuttosto rapidi una pianificazione preventiva ed efficiente della propria successione, che sia del tutto in linea con i suoi obiettivi e volontà, e che garantisca, da un lato, la continuità aziendale, dall’altro, la definizione puntuale dei rapporti tra i familiari e relative assegnazioni, così evitando le tensioni e i contrasti che molto spesso insorgono tra gli eredi all’apertura della successione.
[1] Si omette per semplicità espositiva il tema di potenziali aventi diritto “sopravvenuti” a seguito della stipulazione del patto.