Si chiama Unbuild Together: Archaism vs. Modernity. È il titolo del padiglione dell’Uzbekistan alla 18. Mostra Internazionale di Architettura – La Biennale di Venezia: un progetto di de-costruzione collettiva per ripensare la contemporaneità alla luce delle radici arcaiche di questa repubblica remota dell’Asia Centrale, quasi sconosciuta agli occhi e alle orecchie dell’Occidente durante i lunghi anni del dominio sovietico. E oggi proiettata verso il futuro e l’internazionalità, protagonista della nuova via della seta. L’emblema scelto per rappresentare a Venezia questo nodo fra arcaismo e modernità è il mattone, utilizzato in Uzbekistan per costruire le qalas, antiche fortezze della regione di Karakalpakstan, patrimonio della civiltà di Khorezm. Il mattone è elemento cardine del patrimonio architettonico dell’Uzbekistan. Spiega Gayane Umerova, direttore esecutivo della Art and Culture Development Foundation della Repubblica dell’Uzbekistan: “I mattoni tradizionali uzbeki, realizzati con tecniche in uso da secoli, sono duraturi, sostenibili ed esteticamente belli. Prodotti con materiali naturali, sono ancora resistenti e in grado di durare millenni, caratteristica che li rende un’ottima scelta per progetti di opere edilizie pensate per resistere al trascorrere del tempo”.
Unbuild together the modernity – visitabile negli spazi dell’Arsenale in prossimità della Darsena Grande – è un progetto che rimette in discussione il concetto di arcaismo. Costituisce un incontro fra orizzonti diversi di un patrimonio architettonico, riconosciuti strumenti per edificare il futuro. La terra, raggrumata in forma di mattoni, offre molteplici opportunità di costruzione, dalla figura mitica e archetipica – se non poetica – del labirinto all’edificazione abitativa, permettendo di apprendere dai materiali tradizionali soluzioni innovative per l’abitare attuale. Diffusi per la loro solidità strutturale, i mattoni attraversano il tempo e i territori resistendo all’usura tipica della materia.
Prosegue Gayane Umerova: “Guardando al futuro, il nostro antico patrimonio può aiutarci a riconsiderare il cammino dell’umanità e il ruolo che l’architettura svolge nel modellare il destino collettivo. Analizzando i resti architettonici delle società del passato, possiamo comprendere i valori, le credenze e le tecniche che hanno plasmato i loro mondi. Tutto questo, a sua volta, può influenzare le nostre scelte progettuali e i nostri processi decisionali, mentre lavoriamo per costruire un futuro migliore”. Aggiungono dal padiglione uzbeko: “La curatrice capo di questa edizione della Biennale architettura, Lesley Lokko, battezzandola The Laboratory of the Future, ha chiesto agli architetti partecipanti di considerarla come un laboratorio per il futuro: il padiglione Unbuild Together: Archaism vs. Modernity vuole essere un impegno a collaborare”.
Riunisce un team eterogeneo di curatori, ricercatori, artigiani e artisti alla (ri)scoperta delle rovine delle qalas. La curatela del padiglione è stata affidata al talento dello studio franco-magrebino KO, fondato dagli architetti francesi Karl Fournier e Olivier Marty, gli stessi progettisti del museo Yves Saint Laurent a Marrakech. Per la repubblica centroasiatica lo studio KO aveva già svolto progetti di vasto respiro, come quello per la Fondazione ACDF della capitale Tashkent, una vecchia stazione diesel trasformata nel futuro Centre for Contemporary Arts (CCA), il primo polo d’arte contemporanea del paese. Rispondendo alla richiesta della curatrice, il padiglione disegna il suo messaggio grazie a un grande lavoro di collaborazione intellettuale, riproducendo la forma mitica del labirinto quasi a omaggiare la tortuosità delle calli veneziane.
Con lo Studio KO hanno collaborato al progetto gli studenti e i docenti dell’Universita? Ajou di Tashkent. Con loro hanno contribuito gli artisti Abdulvahid Bukhoriy (autore degli smalti che rivestono parte dei mattoni), El Mehdi Azzam, Emine Godze Sevim e Miza Mucciarelli. Il risultato che si respira in questa porzione di Arsenale è di grande impatto, raggiunto anche grazie alla collaborazione scientifica intessuta con Irina Arzhantseva, studiosa delle qalas. Racconta Gayane Umerova: “Le vaste e profonde conoscenze della dr.ssa Arzhantseva ci aiutano ad accostarci alle qalas e alle tradizionali tecniche utilizzate per la loro costruzione con accuratezza scientifica. La sua ricerca fornisce una preziosa comprensione del rapporto tra queste fortezze e le popolazioni circostanti e di come queste strutture abbiano modellato l’identità della regione nel corso del tempo.
Guardando al futuro, il nostro antico patrimonio può aiutarci a riconsiderare l’attuale percorso dello sviluppo globale e il ruolo che l’architettura svolge nel delineare il nostro destino collettivo. Analizzando i resti architettonici delle società del passato, possiamo comprendere i valori, le credenze e le tecniche che hanno plasmato i loro mondi. Tutto ciò può influenzare le nostre scelte progettuali e il nostro processo decisionale, al fine di costruire un futuro migliore e più sostenibile”.
Conclude Saida Mirziyoyeva, responsabile della sezione comunicazione e politica dell’informazione dell’amministrazione del presidente della repubblica dell’Uzbekistan: “Il nostro e? un paese dal patrimonio culturale ricco e diversificato; le sue antiche qalas e l’artigianato tradizionale rappresentano una componente significativa di questa eredita?. Le qalas, diffuse su tutto il territorio nazionale, sono un simbolo indelebile della resilienza e della forza del popolo uzbeko, a testimonianza della lunga e complessa storia del paese”. La stessa che intercettò il veneziano Marco Polo nel suo viaggio leggendario che dal Canal Grande lo portò alla Cina, passando per Samarcanda.