I colori sono quelli dell’RGB: red, green, blue; «il profilo-colore di tutto quello che vediamo sullo schermo, che sia macchina fotografica, cellulare, iPad». Sta parlando del Milano Centrale Festival il suo direttore artistico Luca Panaro, raggiunto da We Wealth.
Luca Panaro, direttore artistico di Milano Centrale Festival
La prima edizione milanese dell’evento diffuso (progettato da Studio Chippendale) animerà l’area dalla stazione centrale al naviglio della Martesana il 6, 7 e 8 ottobre 2023, nell’ambito della programmazione della giornata nazionale del contemporaneo e della Milano Digital Week. Il festival in realtà nasce in provincia (a Fano, nelle Marche) da un’idea di Marcello Sparaventi come Centrale Festival, nel 2009.
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Come mai una nuova rassegna a Milano, città oberata di festival ed eventi?
«L’idea è nata dal confronto con una porzione di territorio meneghino, quello che sta “dietro” la stazione centrale e che prosegue lungo il naviglio della Martesana, quello che – non solo geograficamente – sta agli antipodi dei festaioli navigli di sud ovest. Qui, nel XIX e nel XX secolo si sono sviluppate le grandi manifatture del milanese. Nel corso degli anni vi si sono insediati artisti, creativi di varia natura. Quest’area composita, che accoglie borghi un tempo autonomi e poi inglobati nella città (come Gorla, Greco, Turro…) è un luogo in un certo senso ancora immune dalla gentrificazione degli altri quartieri. Lo si può definire autentico».
Qual è l’identità del Milano Centrale Festival?
«Nasce dalla fotografia (che ne resta la base) ma non è un festival di fotografia. L’obiettivo è quello di indagare artisti che si occupano della realtà attraverso la mediazione della macchina e della tecnologia. Quindi, sia dal mezzo fotografico che dal video, dal cinema. Sono questi i nostri linguaggi preferenziali».
I nomi degli artisti presenti?
«Ospiteremo grandi autori che si sono distinti nel linguaggio della videoarte e della fotografia. Per esempio, nello spazio condominiale di via Melchiorre Gioia 41 esporremmo parte di una grande collezione privata in cui sono presenti grandi autori come Nan Goldin, Liu Bolin, James Collins, Zanele Muholi, Andres Serrano. Nello spazio della biblioteca di Morando vi sarà la mostra di Ugo La Pietra con la sua produzione artistica meno nota al grande pubblico, quella video.
Ugo La Pietra, La riappropriazione della città, 1977
Marilisa Cosello realizzerà un’azione performativa lungo tutta la Martesana, Studio For. Ma c’è spazio anche per gli artisti più giovani, grazie anche a collaborazioni internazionali (Göteborg, Svezia) e con le accademie di Brera e Naba. Milano Centrale Festival è dedicato agli emergenti e a quanto di ancora (e sempre) emergente c’è negli artisti più noti».
Marilisa Cosello, Not Yet Titled, untitled #2, Venezia 2023. Courtesy artista Galleria Studio G7
Chi sono i collezionisti dei quali verrà esposta parte della raccolta?
«Betta e Francesco Frigieri, madre e figlio, collezionisti non puramente fotografici. A un certo punto, dopo la pittura e la scultura, hanno iniziato a inserire in collezione anche la fotografia. Questa mostra serve anche per raccontare come la fotografia abbia vissuto un percorso di accettazione non semplice all’interno del collezionismo. Ma oggi i tempi sono maturi, le fotografie sono riconosciute nella loro intrinseca qualità di opere d’arte».
Come sono stati selezionati i 13 spazi espositivi?
«Semplicemente abbiamo scelto quelli più affini al taglio curatoriale del festival e della nostra ricerca. C’è persino il refettorio ambrosiano (Opere in permanenza – Carlo Benvenuto, Enzo Cucchi, Maurizio Nannucci, Mimmo Paladino, Gaetano Pesce, ndr), studi di artisti che vivono in questo luogo liminale fra la vecchia Milano e lo scintillante quartiere del fintech, nato intorno a Melchiorre Gioia. Piccole perle». Fa eco a Luca Panaro la gallerista Clelia Di Serio (Stay On Board): «Milano Centrale Festival si sposa perfettamente con la filosofia della nostra galleria, che vede nella capacità di fare rete una carta vincente (anche) nel sistema contemporaneo dell’arte. Mi piace pensare a una piccola “Soho” milanese di gallerie che beneficiano di un contesto urbano che si è rivalutato nel tempo. Deve continuare a crescere l’abitudine della città a vedere l’arte, anche tramite le pratiche delle studio visit. Ma alla fine, ciò che conta, che si tratti di fotografia, pittura, scultura o videoarte, è che si tratti di un’esperienza emozionale completa».
Studio Chippendale, Archivio Dummy Photobook.
I grandi assenti in questa rassegna meta-fotografica sono gli nft. Un caso?
«Forse no. Certo i non fungible token sono un territorio interessante, come l’intelligenza artificiale. Ma non hanno prodotto al momento impatti degni di nota, per quanto ci riguarda. Chi se ne occupa in genere lo fa per cavalcare la notizia, aspetto che a noi non interessa. Allo stesso tempo però mi piace sottolineare che il nostro indirizzo curatoriale non accoglie chi si serve della fotografia in maniera troppo consolidata, chi non esce dalla rassicurante zona di comodità. Pur senza gli nft, Milano Centrale Festival nasce come percorso di frontiera e tale vuole rimanere».