Keynes, una voce “pacata e lungimirante”
Nella calda estate inglese del 2019, non manca la voglia di lasciarsi dietro le contorsioni della Brexit per una gita campestre. E se d’avventura si capita nel morbido e luminoso Sussex, in cerca delle suggestioni naturali e culturali di una regione che ne è ricca (rifugio di scrittori come Conrad e Kipling, centro operistico a Glyndebourne, patria di giardini indimenticabili), tornano in mente transazioni anglo-francesi o anglo-europee del tutto estranee all’odierna battaglia politica, nonostante annoverino tra i loro protagonisti un economista la cui voce pacata e lungimirante gioverebbe forse allo spesso sguaiato dibattito contemporaneo. J. Maynard Keynes era infatti amante della regione dove risiedevano, prima che scelse di farlo anch’egli, i suoi amici più cari.
Ed è proprio mentre era diretto da loro, un bel giorno di maggio 1918, che accadde un incontro piuttosto inatteso tra arte ed economia.
J.Maynard Keynes e P. Cézanne, un incontro inatteso
Allora giovane consigliere al Tesoro, Keynes aveva convinto il ministro ad affidargli £50.000 da spendere all’asta della sontuosa collezione Edgar Degas a Parigi, con la consulenza del direttore dalla National Gallery e il compito di arricchire il patrimonio nazionale.
Incuranti del fragore causato dalle ultime bombe del conflitto, lo storico dell’arte e l’economista fecero incetta di capolavori durante quell’asta ‘bellica’ e proprio per questo disertata da molti. Per sé, e con denaro proprio, Keynes acquistò un Ingres, un Delacroix e un piccolo Cézanne, giudicato da Holmes troppo audace per entrare alla National Gallery. Bagaglio e dipinti appresso, Maynard riattraversò la Manica e accettò (dal diplomatico Austen Chamberlain) un passaggio fino alla fattoria dei suoi amici.
Ma il sentiero che vi portava si rivelò troppo fangoso per la solida berlina del Foreign Office. E il viaggiatore continuò a piedi, non senza lasciare il prezioso carico lungo strada al riparo incerto di qualche arbusto. Quando giunse a Charleston, presso i suoi ospiti/artisti, l’emozione e la paura di vedere smarrito il capolavoro della modernità furono grandi. Si corse quindi a salvare le mele di Cézanne abbandonate nel fosso.
Lo “scandalo” di Cézanne
Per quanto noto, l’episodio è rivelatore. Racconta di un interesse artistico, nato a Cambridge e dal contatto con amici pittori, Vanessa Bell e Duncan Grant tra gli altri, ai quali Maynard chiese di decorare il suo studio a King’s College e la casa londinese di Brunswisk Square. Lascia poi indovinare un’attenzione alla contemporaneità. Cézanne era stato infatti presentato a viva forza al pubblico inglese in occasione delle mostre ‘post-impressioniste’ (1910/12), memorabili per le reazioni irate e lo scandalo che causarono in un contesto artistico ancora assai provinciale. Ma Keynes era curioso, aperto alla novità e anche desideroso di imparare da chi sapeva più competente, come l’ amico – e grande critico – Roger Fry.
Non solo Cézanne, la collezione di Keynes
E infatti la collezione, iniziata in sordina nel 1908, conta non poche scelte ardite, dal disegno di Seurat a quelli di Modigliani. Ed è anche significativo vedere Keynes prodigarsi simultaneamente, in occasione dell’asta Degas, per le collezioni pubbliche (alla National Gallery andò tra l’altro un’ importantissimo Édouard Manet) e la sua personale raccolta. Una prefigurazione dell’ impegno sul fronte dell’arte nei suoi rapporti con lo stato, che lo portò nel 1942 a presiedere con passione il Cema (Council for the Encouragement of Music and the Arts), un’istituzione sfociata dopo la seconda guerra nel cruciale Arts Council of Great Britain.
“Incentivare, aiutare, incoraggiare”. Ma in punta di piedi
Nelle questioni artistiche, sostiene Keynes, come in quelle finanziarie, lo stato deve intervenire se e quando serve, e solo in punta di piedi. Incentivare, aiutare, incoraggiare, un pontiere tra individuo e comunità. L’Arts Council, continua l’economista, non dovrà mai farsi professore e tanto meno censore, ma sapere favorire le opportunità creative senza imbrigliarle. Le muse possono rinascere (siamo nell’Europa delle macerie post-belliche) e convivere armoniosamente con il gioco dell’offerta e della domanda, e la spesa sostenuta per le arti non contrasta affatto con gli interessi economici.
Tornano in memoria le inziative dell’economista amante di pittura, teatro e danza, volte a facilitare la vita finanziaria degli artisti e i loro rapporti con il mercato, come la London Artists’ Association, fondata nel 1925, che risparmiò la bancarotta a non pochi, o ancora la Camargo Society, dedita al sostegno del balletto di avanguardia, orfano, nel 1929, del grande Diaghilev.
La lotta al “capitalismo bottegaio” e la condivisione del bello
Una voce e una presenza costanti nel mondo delle arti, quelle di Keynes. Nel segno di una lotta strenua alla contabilità ottusa di un certo capitalismo bottegaio che ‘impoverisce il futuro, annienta la bellezza delle campagne e giungerebbe persino a distruggere il sole e le stelle perché non danno divendendi‘. Sarà forse ingenua questa visione di un raggiunto equilibrio finanziario, con l’avvento di una società del tempo libero e, a dirla con le parole di oggi, dei pleasure assets, anche se Maynard avrebbe preferito parlare di condivisione del bello.
Queste, ad ogni modo, le prospettive delineate in un saggio che ci riguarda, nipoti di Keynes quali siamo tutti, ‘The Economic Possibilities of our Grandchildren‘(1930). Nell’aspettare il momento di grazia, se ci sarà, di un capitalismo non dilaniato, vale la pena godersi la bellezza che ci ha lasciato Keynes, donando al Fitzwilliam Museum di Cambridge buona parte della sua collezione nella quale troneggiano, appettitose quanto mai, le mele di Cézanne.
Caroline Patey,
Consigliere di Finer per la cultura e la formazione