Il Bureau of Economic Analysis
americano ha rilasciato le prime stime dei profitti societari negli Stati Uniti
per il primo trimestre del 2022, un trimestre pesantemente segnato dai colpi di
coda del virus e, più gravemente, dall’invasione russa dell’Ucraina, che ha
riportato indietro gli orologi della storia, verso quel tempo, che si sperava
passato per sempre, di una guerra in Europa.
Un trimestre che ha anche visto
il rigonfiarsi di una ondata d’inflazione, un’ondata che si sperava transitoria
ma che si è rivelata più grave e soprattutto più duratura del previsto: gli
ostacoli alle catene del valore sofferti nella pandemia e che forse erano in
via di lenta risoluzione, sono tornati in auge dopo l’invasione russa, che ha
pesantemente influenzato la logistica.
Un trimestre che ha visto le
Banche centrali cambiare la postura di politica monetaria di seguito alla forte
inflazione, e soprattutto iniziare un rialzo dei tassi di
interesse. Un trimestre che ha visto la Cina continuare nella lotta al
coronavirus, costi quel che costi – e quel che sta costando è un forte
rallentamento dell’economia: come qualcuno ha detto, per il Celeste impero
‘Covid zero’ rischia di tracimare in ‘crescita zero’.
Come facciamo
regolarmente su queste colonne, abbiamo confrontato, per gli Usa, i profitti
con le quotazioni. Il grafico si vale di due variabili: da un lato, i profitti
societari di contabilità nazionale (dopo l’imposta), variabile a sua volta
sdoppiata in due versioni, al lordo e al netto degli aggiustamenti necessari
per riportare ammortamenti e variazione di scorte dal costo
storico al costo di sostituzione (la definizione di profitti societari più
affine a quella riportata nei bilanci delle società non include i due
aggiustamenti).
I profitti societari di contabilità nazionale includono anche
gli utili fatti all’estero da società americane (ed è da ricordare che questi
utili sono una cospicua fetta dei profitti delle società quotate). La seconda
variabile è un indice dei prezzi delle azioni: il Wilshire 5000 (che, malgrado
il nome, include circa 6700 società). Certo, i profitti di contabilità
nazionale includono tutto l’universo societario, ma le 6700 società possono
essere considerate un campione rappresentativo di quell’universo.
Queste tre grandezze sono state
trasformate in numeri indici che partono dal 1995, anzi, per essere più precisi,
dal terzo trimestre del 1995 (un anno prima che Alan Greenspan pronunciasse, il
5 dicembre 1996, il famoso discorso sulla “esuberanza irrazionale” della Borsa
americana). Si è scelto un anno base lontano nel tempo perché la relazione fra
Borsa e profitti può essere disturbata da miriadi di fattori che offuscano il
parallelismo nel breve periodo. In un periodo più lungo, le due grandezze –
corsi e profitti – dovrebbero andare di conserva, dato che la teoria economica
ci dice che i prezzi di Borsa rappresentano il valore attuale dei profitti
futuri, scontati da qui al giorno del Giudizio. Naturalmente, i profitti di
contabilità nazionale sono quelli presenti, non quelli futuri, ma, in mancanza
di sfere di cristallo, prendiamo quelli presenti come segnaletici di quelli a
venire.
Il grafico mostra che i livelli
delle quotazioni oggi sono ancora nettamente superiori a quanto sarebbe
giustificato dall’andamento dei profitti. Ma nel primo trimestre di quest’anno
le quotazioni del Wilshire si sono abbassate (e continuano nel secondo) più di
quanto ci si sarebbe atteso sulla base del passato parallelismo. Insomma, ci
sono volute tutte le disgrazie sopra elencate per convincere i prezzi delle
azioni a ridimensionarsi. Forse la più influente delle ‘disgrazie’ è
l’andamento – presente e atteso – dei tassi: i profitti a venire sono riportati
al presente (‘scontati’) con un tasso di interesse che è più alto rispetto al
passato, e questo sconto rimpicciolisce quindi gli utili futuri.