Quando si parla di Kurni, un vino tratto da uve montepulciano, usare l’aggettivo “estremo” non è esagerato. Siamo nelle Marche, in un territorio che si posiziona a cavallo dei comuni di Ripatransone e Cupra Marittima, nel Piceno, in provincia di Ascoli, dove Eleonora Rossi e Marco Casolanetti conducono da quasi trent’anni l’azienda agricola “Oasi degli Angeli”, 50 ettari di cui 15 vitati. Le vigne da cui si produce il Kurni sono state piantate a un’altitudine che arriva fino a 430 metri, su terreni bianchi, molto sciolti, di matrice calcareo-sabbiosa, caratterizzate da una fittezza d’impianto che ha quasi dell’incredibile che in alcuni casi arriva addirittura a quarantamila (quarantamila, non c’è uno zero in più!) ceppi per ettaro, dove però a ogni pianta viene consentito di produrre solo da uno a due grappoli con il risultato di rese bassissime.
Questa grande attenzione alla selezione e qualità delle uve consente la produzione di un vino eccezionale e di forte personalità, che sin dal suo primo anno di produzione, il 1997, ha ottenuto i massimi riconoscimenti dalle guide di settore. Eleonora e Marco hanno adottato da subito i dettami dell’agricoltura biodinamica, nel massimo rispetto di ambiente, natura, ecosistema e biodiversità, rifuggendo non solo dai prodotti di sintesi, ma anche da rame e zolfo, preferendo prodotti naturali come silicati, preparati a base di propoli, alghe, lecitina di soia, bicarbonato di potassio e derivati del latte.
La forma d’allevamento utilizzata è quella dell’alberello a canocchia, una sorta di capannina tra due filari contigui, tradizionale della zona, ma praticamente abbandonata a causa della cura e del lavoro manuale che impone. In cantina si usano solo lieviti autoctoni, solforosa ed enzimi sono banditi e non si fanno chiarifiche e filtrazioni. L’azienda produce due etichette: il Kurni appunto e il Kupra, prodotto per la prima volta nel 2011, da uve grenache (o canonau, che nella zona sono chiamate “bordò”), provenienti da un vigneto di ben oltre un secolo.
Tornando al Kurni si tratta di un vino rosso assolutamente unico per potenza e concentrazione naturale, tanto che, nonostante ben due passaggi in legno nuovo, il legno risulta quasi impercettibile. Il vino, infatti, dopo una lunga macerazione e fermentazione in acciaio (40 giorni), viene travasato in barrique nuove di rovere francese dove sosta per nove mesi, per poi essere nuovamente travasato in un altro “set” di barrique nuove per ulteriori nove mesi. Pochissime le bottiglie prodotte: poco meno di 6mila.
Ho recentemente assaggiato il Kurni 2020. È un vino molto riconoscibile già nel bicchiere. Il colore è rosso rubino carico, tendente al violaceo, quasi impenetrabile grazie alla sua densità e concentrazione. Il naso è intenso e complesso, quasi esplosivo. Si percepiscono marasche sotto spirito e more mature oltre a un rincorrersi di note di sottobosco, tabacco, cioccolato fondente, moka e cuoio. Non c’è un’olfazione uguale all’altra tanto il vino è dinamico. Al palato ricchezza, densità e struttura non pesano, grazie a un perfetto equilibrio tra tannini e acidità che insieme a una meravigliosa sapidità rendono questo vino vibrante. Ci aspetta un finale interminabile in cui ritornano nel retrogusto sensazioni di frutti di bosco, caffè e cioccolato. Un vino di grande impatto gustativo, buonissimo anche da giovane.
Il Kurni è un vino che non teme il passare del tempo, anzi col tempo è capace di regalare sensazioni ancora più sfaccettate e dettagliate. Il Kurni 2020 si trova tra i 110 e 130 euro. Da non lasciarsi scappare quello che è rimasto.
Articolo tratto dal numero di maggio 2023 del magazine We Wealth