Prima di tutto: si dice Fortùny, con l’accento sulla u. Mariano Fortuny y Mandrazo (Granada, 1871 – Venezia, 1949) era un uomo eclettico, entusiasta, trasversale, che scelse Venezia e Palazzo Pesaro degli Orfei (oggi Museo Fortuny) come casa. Dedito alla pittura (soprattutto come copista) e alla musica, fu anche inventore, fotografo, stilista di abiti celebrato da Marcel Proust, designer di lampade e oggetti, scenografo (sua la Fortuny Dome, una struttura di ferro e tela per riflettere la luce nel teatro). Si trasferisce a Venezia nel 1889, a 18 anni, e ne fa la sua patria d’elezione. Fonda la celebre fabbrica di tessuti Fortuny nel 1921, alla Giudecca, di fianco al Molino Stucky, in quella che è ancora la sede dell’impresa, un edificio in mattoni rossi con le grandi finestrature affacciate sul canale, e un giardino nascosto al suo interno.
La nascita dell’azienda si deve all’incontro nel 1902 a Parigi con la stilista Henriette Negrin, colei che sarebbe diventata sua moglie e musa. È con questa donna francese elegante e sofisticata che nel 1906 Mariano Fortuny inizia a creare i primi tessuti stampati con motivi ispirati all’antichità classica. Oggi, quell’azienda è più viva che mai, dopo alcuni passaggi generazionali basati sull’affinità intellettuale e culturale e non sulla genetica (i Fortuny non ebbero figli). La conducono economicamente e creativamente i fratelli newyorkesi Maury (ceo) e Mickey Riad (direttore creativo), avendogliela affidata il padre Maged nel 1998. Maged Riad, avvocato, l’aveva acquistata nel 1988, dietro insistenza della designer newyorkese Elsie McNeill (contessa Gozzi), sua cliente, che a sua volta l’aveva acquisita da Henriette Negrin.
Mickey e Maury Riad, Direttore Creativo e CEO di Fortuny Venezia 1921 – 036. Foto di Alessandra Chemollo, come quella di apertura
Possiamo ammirare i tessuti dal vivo in showroom, come quinte di un palco, in una sorta allestimento teatrale presentato dal direttore artistico di Fortuny Venezia 1921, l’architetto “venezianissino” Alberto Torsello, già operante nel restauro architettonico di Palazzo Ducale, del Fondaco dei Tedeschi, della Scuola Grande della Misericordia. Le stoffe che calano dal soffitto hanno tutto l’aspetto di sete damascate e broccati: ma sono cotone al 100%. Quello di maggior pregio, che ha una sua naturale iridescenza, ci spiegano. Grazie a un procedimento meramente artistico, con l’ausilio di macchinari inventati da Mariano stesso un secolo fa e ancora in uso, si ottengono tessuti che sembrano damaschi.
Nel 1922 erano macchinari industriali: oggi sono considerati artigianali. “Quando i rotoli di cotone arrivano in azienda, vengono trattati come tele su cui si andranno a dipingere acquerelli. Come accade con quella tecnica, ci sono punti in cui il colore stenta ad asciugare, producendo le caratteristiche ombreggiature”, racconta Torsello.
Persino i colori – si pensi al caratteristico verde Fortuny – sono ottenuti con gli ingredienti naturali e le antiche formule che Mariano ed Henriette creavano insieme. Le fantasie stampate sui tessuti sono quasi acquatiche, come in quadro ante litteram di Carla Accardi. Richiamano il baluginio dei canali veneziani, i rilessi di quella luce tanto cara al Canaletto o ai maestri del vetro di Murano.
Interni Palazzo Fortuny
Qual è il ruolo del grande patrimonio, del wealth – per autocitarci – in tutto questo? Nel giardino della Giudecca Maury Riad ci risponde che “oggi la Mariano Fortuny Venezia 1921 non esisterebbe come azienda, senza il supporto della ricchezza. Siamo necessari perché tutto ciò continui. Quest’azienda è molto importante per noi, e chi vi lavora ci apprezza profondamente per questo. Mescoliamo arte e commercio: è un equilibrio molto delicato; noi cerchiamo di mantenerlo. Se ti concentri troppo sul business, l’arte ne soffre; viceversa, se pensi solo alla creatività e alle arti, rischi di depauperare quelle risorse che sostentano proprio l’arte. L’intera storia dell’umanità racconta di come la ricchezza abbia voluto dire mecenatismo, di come essa sia stata in grado di capitalizzare il talento degli artisti. Mi spingo a dire che i ricchi sono i veri influencer. Fanno il gusto, gli standard. Del design, dei viaggi, della moda, del lusso. Della cultura in generale. La quale molto spesso – anche se non sempre – fluisce dall’alto verso il basso”.
Emblema di questo “difficile” ma riuscito equilibrio è la recente riapertura al pubblico di Palazzo Fortuny, ovvero Palazzo Pesaro degli Orfei, dopo due anni di interventi conservativi e di riallestimento. L’evento segna l’inizio della collaborazione tra il museo e la fabbrica, con l’obiettivo di supportarsi a vicenda e di “contaminarsi”. Fino a settembre 2023 il calendario è già stipato di attività educative e conferenze (ben sette quelle dedicate alla luce, punto cardine della ricerca di Mariano), perché, come dichiara Mariacristina Gribaudi, presidente della Fondazione Musei Civici di Venezia, “il futuro esiste solo se siamo in grado di studiare la nostra memoria”.
Dettaglio del mantello, foto ©Teresa Scarale
E la memoria, i Riad la rispettano. Quasi la venerano. Palazzo Fortuny è per Maury Riad “un posto quasi spirituale, pieno di anima (soul), storie, cultura”. Quello dei Riad con Fortuny è un rapporto che inizia nel 1971, prima della nascita di Maury e Micky. In due anni l’avvocato Riad diventa il confidente fidato di Elsie McNeill, che negli anni riuscirà a convincerlo (era il 1988) ad acquistare la tessitura. Nel 1998, all’età di 22 e 23 anni, i figli di lui prendono il timone dell’azienda. “Abbiamo fatto risorgere il gigante addormentato”, afferma Maury. “Il museo rappresenta tutto ciò che Mariano Fortuny ha fatto. Noi rappresentiamo quello che sta ancora facendo. Insieme, scopriremo tutto ciò che Mariano Fortuny farà. Ma il futuro non è solo una faccenda di produzione, è una questione di conoscenza e apprendimento. Noi prestiamo grande attenzione al recepimento, al trasferimento e alla crescita della conoscenza. Non si tratta solo di preservare l’arte del mestiere, ma di comprendere più a fondo la nostra umanità attraverso l’arte e l’artigianato”.
Tessuti dal sapore letterario
“…vesti o vestaglie …. fatte da Fortuny su antichi disegni veneziani. È forse il loro carattere storico, o piuttosto il fatto che ciascuna è unica, a dar loro un carattere così singolare che l’atteggiamento della donna che la indossa, mentre ci aspetta o parla con noi, acquista un’importanza straordinaria, come se quel vestito rappresentasse il frutto d’una lunga deliberazione e se quella conversazione si distaccasse dalla vita ordinaria come una scena di un romanzo? (…) I vestiti di oggi non hanno altrettanto carattere, eccettuati quelli di Fortuny”. (Marcel Proust, da Albertine Prigioniera, La Recherche du Temps perdu).
Il mantello-abito destrutturato di Mariano Fortuny, celebrato nelle pagine de La Recherche di Marcel Proust. Oggi visibile al Museo Fortuny di Palazzo Pesaro degli Orfei, a Venezia. Foto © Teresa Scarale