Ecco che i fondi di debito possono rientrare in gioco in maniera importante in questo scenario: gli operatori di private equity, mai così liquidi prima dell’avvento del virus, continuano ad avere l’esigenza di investire e seppure alcune operazioni abbiano subito un rallentamento, molte sono resistite all’onda d’urto di scetticismo e underperformance e devono trovare le risorse per giungere a compimento. I fondi di debito, siano essi operatori autorizzati a fare direct lending o più tradizionali fondi chiusi che sottoscrivono obbligazioni, sono interlocutori con processi decisionali molto corti e con ottiche di investimento simili ai loro colleghi del private equity con i quali condividono spesso strategie e approccio.
D’altra parte il mercato dei “mini bond” dal 2013 ad oggi è di molto cambiato diventando una vera e propria industry in cui ciascun operatore ha specifiche politiche di investimento e obiettivi differenziati. Quello che era nato come uno strumento di debito di piccolo taglio (“mini” per l’appunto) destinato per lo più a sostenere la crescita, ora ha cambiato pelle e dimensioni andando a finanziare spesso operazioni di leverage buy out con strutture di holdco financing tutte ripagate a scadenza o servite con eventuali pagamenti di dividendi. Strumenti sicuramente più sofisticati e rischiosi con tassi di interesse vicini al mercato dei mezzanini ma che riescono a fornire un respiro finanziario importante (in quanto il pagamento è spostato in avanti nel tempo o è addirittura in un’unica soluzione a scadenza) e che riescono a sostenere livelli di leva importante (sopra le 4 volte a livello consolidato) che le banche molto spesso faticano a considerare.
Inoltre i fondi di debito sono un valido alleato anche quando le cose non vanno esattamente come da programma: in una situazione di stress finanziario e carenza di liquidità o rottura di qualche covenant i fondi possono valutare le richieste di waiver velocemente grazie alla catena decisionale snella e lo strumento di debito (tipicamente prestito obbligazionario) si presta a una più agevole rimodulazione per consentire al capitale sociale di non subire perdite importanti. Una ulteriore iniezione di fiducia al mondo degli operatori alternativi di debito è stata data di recente dalla legge 5 giugno 2020 n. 40 che ha convertito il legge il decreto liquidità (D.L. 8 aprile 2020 n. 23). La norma ha esteso il ricorso alla garanzia fornita da Sace fino al 31 dicembre 2020 sui nuovi finanziamenti anche concessi “da altri soggetti che sottoscrivono in Italia prestiti obbligazionari o altri titoli di debito emessi dalle imprese a cui sia attribuita da parte di una primaria agenzia di rating una classe almeno pari a BB- o equivalente”. Qualora la classe di rating attribuita sia inferiore a BBB-, i sottoscrittori originari dei prestiti obbligazionari o dei titoli di debito sono teuti a mantenere una quota pari almeno al 30% del valore dell’emissione per l’intera durata della stessa. Questo intervento normativo, oltre a fornire uno stimolo in più al mercato dell’alternative lending ne ha anche formalmente riconosciuto la rilevanza sancendo l’importanza delle forme alternative di debito che nello scenario attuale possono essere la vera risposta di stimolo alle operazioni straordinarie come traino per la ripresa.