Non c’era una collezione di famiglia. Non c’era il palazzo. C’erano però idee, mezzi, cultura. Quella del Cavaliere del Lavoro e Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica Luigi Rovati (1928-2019), medico e ricercatore, ma anche umanista e collezionista, fondatore nel 1961 di Rottapharm, biotech ante litteram divenuta negli anni una delle prime multinazionali farmaceutiche italiane. E oggi, dopo un sostanzioso acquisto di opere d’arte e un’importante operazione immobiliare, al civico 52 di corso Venezia a Milano, in quello che fu il palazzo della famiglia Rizzoli-Carraro, sorge la Fondazione Rovati, nata ufficialmente nel 2016. Il museo (più di 250 opere) occupa due dei sette piani del palazzo, uno spazio che dunque è pure «molto altro», come dice Monica Loffredo, direttrice della fondazione.
Ipogeo. Tutte le foto sono di Giovanni De Sandre per Fondazione Rovati
Vi albergano infatti un caffè-bistrot, il ristorante stellato dello chef Andrea Aprea, un giardino con padiglione per mostre temporanee, uno spazio didattico per bambini, una biblioteca, una sala conferenze, uffici, la prima libreria monomarca dell’editore Johan & Levi, società fondata nel 2005 da Giovanna Forlanelli Rovati, presidente della fondazione. Il museo ha aperto i battenti mercoledì 7 settembre 2022, senza cerimonia di inaugurazione. Come ci spiega la direttrice, l’intento era quello di far vivere alla città una festa lunga un mese, regalandole, fino al 30 settembre, l’accesso gratuito al museo, “luogo di ricerca, sperimentazione e conoscenza” il quale, per dirla con Giovanna Forlanelli, presidente della fondazione, “risponde ai principi di utilità sociale che guidano tutte le attività della fondazione”.
Giovanna Forlanelli Rovati
La parte espositiva è suddivisa in due piani: quello nobile e l’ipogeo. «Non è uno spazio didascalico, l’Italia non ne ha certo bisogno», ci viene detto. La parte sotterranea accoglie il mistero della civiltà etrusca nella sua quotidianità e spiritualità, in un ambiente le cui cupole severe e dolci sono ispirate ai tumuli di Cerveteri. A darci il benvenuto, un’urna cineraria in travertino, probabilmente raffigurante un sacerdote.
Sotto le volte delle “grotte” in pietra fiorentina tagliata a laser, il piano è puntellato da teche di cristallo che espongono i classici buccheri (ceramiche etrusche): vasi, ex voto, antefisse, piccoli bronzi messi in connessione con opere contemporanee di William Kentridge, Lucio Fontana, Arturo Martini, Pablo Picasso, Alberto Giacometti. Come mai l’amore per l’arte etrusca? «È un amore di famiglia. Luigi Rovati amava anche i Longobardi. Suo figlio Lucio invece ha sempre amato l’arte etrusca», ci rispondono.
Simbolo del museo è il Guerriero Cernuschi, bronzo votivo etrusco, così chiamato perché apparteneva al banchiere e patriota fondatore di Paribas Enrico Cernuschi (Milano, 19 febbraio 1821 – Mentone, 11 maggio 1896). I patrioti italiani nutrivano una fascinazione particolare nei confronti degli Etruschi in quanto primo importante popolo italiano. L’austera oscurità dell’ipogeo – che induce a bisbigliare quasi ci si trovi in un luogo di culto – lascia spazio ai colori sfavillanti e purpurei del secondo piano espositivo.
Qui, boiserie, porte dorate, pavimenti, camini in marmo, specchiere del XVIII secolo degli ambienti originari dell’abitazione sono stati non solo recuperati e restaurati (rispettando l’opera dell’architetto Filippo Perego), ma esaltati da un attento studio degli impatti cromatici sulle opere d’arte esposte, per un incessante stimolo visivo e concettuale. L’intento, conferma Giovanna Forlanelli, è quello “di dare specifiche sollecitazioni al visitatore” che nella visita degli spazi architettonici deve poter vivere “un’esperienza emozionale”; essi infatti “come i reperti e le opere, nella continua variazione di forme, luce e colori, non sono contenitori ma parti dell’esperienza della visita”.
Sala Kennedy, Specchiera Marianna Kennedy
Qui, artisti come Luigi Ontani (1943, Grizzana Morandi), Giulio Paolini (Genova, 1940), Francesco Simeti (Palermo, 1968), sono intervenuti con opere site-specific, mescolando la loro poetica all’immaginario etrusco. Il dialogo costante con un’arte antica diversa dalla classica greco-romana lascia spazio anche a opere antiche di paesi “altri” come l’Iran, il Messico. Fulcro di queste sale è la tela di Andy Warhol The Etruscan Scene: Female Ritual Dance (1985), celebrata dalla serie Etruschi (1984) di Paolo Gioli e dai disegni e gli acquarelli di Augusto Guido Gatti (1863-1947). In una sala campeggia la grande tela di Giorgio de Chirico Le Cheval d’Agamèmnon, (1929) dalla collezione Giuseppe Merlini (Busto Arsizio, Varese), mentre all’ingresso si può ammirare la Lanterne à quatre lumières (1983) di Diego Giacometti, commissionata all’artista dalla collezionista e filantropa americana Rachel Lambert (Bunny) Mellon.
La fondazione Rovati, del cui comitato fa parte anche il professor Salvatore Settis, impronta la sua filosofia d’azione a otto “codici”: conoscenza, espansione, inclusione, creazione, spazio, estetica, relazione, utilità sociale.
*Articolo già apparso nel numero 50 del magazine We Wealth