Nel recente aggiornamento di S&P sugli emergenti le attese sono
di un ulteriore rallentamento
dell’attività economica nell’area,
dovuto all’inflazione, all’inasprimento delle condizioni finanziarie e a un
apprezzamento delle valute locali
rispetto al dollaro statunitense. Certamente una previsione nefasta ma che forse rischia di
essere troppo generica e non coglie veramente le differenze che ci sono in un
ambito che è amplissimo e variegato.
La Cina cambia marcia
La Cina, come emerso dal XX Congresso del Partito Comunista, sta cambiando la sua strategia di sviluppo e pur rinsaldando il potere intorno alla figura di Xi Jinping, vira verso un potenziamento dei consumi interni e aspira a diventare un leader tecnologico al pari degli Usa. Ovviamente questo comporta un modello economico diverso da quello che l’ha portata a essere fabbrica del mondo e implica tassi di crescita del Pil decisamente inferiori rispetto al passato. Se Pechino arretra, Mumbai avanza. E sono diversi gli analisti a ipotizzare un “decennio indiano”, ovvero un periodo in cui l’India anziché andare al traino della Cina possa fare da Paese guida dell’Asia.
… e l’India le ruba la scena
Eppure anche in India i problemi non mancano: la banca centrale ha portato i tassi di intesse al 5,9% un livello considerato il picco (eppure ancora sotto l’inflazione) mentre la rupia è scesa a un nuovo minimo contro dollaro che però, va detto, mostra una particolare forza. E infatti la rupia rispetto allo yen, alla sterlina inglese e all’euro è in guadagno da inizio 2022.
E c’è chi, come Sabrina Jacobs, Senior Client Portfolio Manager di Pictet Asset Management ritiene che le società dei mercati emergenti siano addirittura meglio posizionate per affrontare l’attuale turbolenza dei mercati perché nell’ultimo decennio le politiche finanziarie prudenti e la riduzione del debito di bilancio hanno aiutato la maggior parte delle società dei paesi emergenti a prepararsi per affrontare le attuali turbolenze dei mercati finanziari e molte delle banche centrali sono più avanti nella lotta all’inflazione.
Enormi differenze tra regioni e settori
Naturalmente – come dicevamo – esistono numerose differenze tra regioni e settori, per cui gli investitori devono analizzare con minuzia ogni dettaglio e avere una buona comprensione del quadro macroeconomico completo. Ma “finora – scrive Jacobs – il 2022 è stato un anno eccezionalmente positivo per le società dei mercati emergenti: durante il secondo trimestre, i ricavi sono aumentati del 22% e gli utili del 27% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Al contempo, i loro bilanci appaiono sani: rimanendo sempre nel secondo trimestre, il debito netto è calato del 7% su base annua. Molte società dei mercati emergenti hanno incrementato i loro margini di profitto dopo la pandemia. A sua volta, tutto ciò consente loro di assorbire meglio, tra le altre cose, i costi più elevati derivanti dall’inflazione dei prezzi delle materie prime”.
Ma prospettive generalmente positive
È il caso, per esempio delle aziende siderurgiche in India. Al contempo, molte aziende focalizzate sulla vendita al dettaglio o con prodotti di fascia premium sono in una posizione di forza per sfruttare il potere di determinazione dei prezzi e quindi mantenersi al passo con l’inflazione. “In Cina, le società tecnologiche di grandi dimensioni e con rating elevato hanno mantenuto margini di guadagno solidi, in quanto i loro clienti finali sono perlopiù retail; a ciò si aggiunge il fatto che qui l’inflazione è salita a un ritmo notevolmente inferiore rispetto al resto del mondo”. L’analisi dei migliori dieci fondi azionari con focus sulle valute mostra un rendimento annualizzato a tre anni interessante e anche se in rosso da inizio anno, cali contenuti in quello che è stato un anno orribile per le Borse mondiali. E per il futuro – a patto di fare ricerca e selezione – le prospettive sembrano altrettanto rosee.