In occasione dell’esposizione Im Spazio: The Space of Thoughts, We Wealth ha conversato con Claudia Dwek, presidente di Sotheby’s Europa per l’arte contemporanea, sulla collezione Luxemburg.
Modellare, forare, lacerare, plasmare. Verbi riferibili alla scultura piuttosto che alla pittura. A meno di non trovarsi di fronte a una collezione di tele e opere fortemente materiche, come quella della mercante d’arte Daniella Luxembourg (1950). Non un nome qualsiasi: la sofisticata collezionista newyorkese, figlia di sopravvissuti all’olocausto, è una delle personalità più note e attive nel mondo dell’arte, “una delle grandi dame dell’arte”, per dirla con il collega Simon de Pury.
Claudia Dwek, Sotheby’s, presenta la collezione di Daniella Luxembourg
Lo è non solo per il suo gusto e la visione, ma anche per essersi spesa nel recupero di opere confiscate dai nazisti (si pendi solo al celebre dipinto di Gustav Klimt Ritratto di Adele Bloch Bauer). E Palazzo Serbelloni, sede milanese di Sotheby’s, ha avuto proprio l’onore di ospitare – a cavallo fra l’art week e la design week meneghine – l’esposizione di 15 opere provenienti dalla sua collezione personale, prossime al rostro newyorkese con una stima complessiva superiore ai 30 milioni di dollari.

La collezione di Daniella Luxembourg nella sua ambientazione originaria I. Tutte le foto del presente articolo sono cortesia di Sotheby's
Pezzi dalla qualità elevatissima fra cui spiccano alcuni tra i più importanti artisti del dopoguerra, sia italiani che americani: Fontana, Fabro, Manzoni, Pistoletto, Burri, Scarpitta, Oldenburg, Calder. Domandiamo a Claudia Dwek, presidente di Sotheby’s Europa per l’arte contemporanea, come ha fatto la casa d’aste a “vincere” la vendita di questa collezione. «Ci abbiamo creduto molto, è stato un lavoro di squadra: abbiamo trovato una comunanza di intenti, vedute e ideali con la proprietà. Una proprietà illuminata, visionaria, in cui studio e ricerca hanno agito per la maggiore». Daniella Luxembourg ha inseguito queste opere con lungimiranza pionieristica, ben prima che il sistema dell’arte ne riconoscesse l’impatto profondo sulla storia dell’arte, arrivando a stabilire record d’asta per artisti come Scarpitta, Pistoletto e Oldenburg.

La collezione di Daniella Luxembourg nella sua ambientazione originaria II
L’asta prende il nome di Im Spazio: The Space of Thoughts, omaggio inequivocabile alla seminale mostra del 1967 curata da Germano Celant, alla Galleria La Bertesca di Genova, considerata l’atto fondativo dell’Arte Povera, movimento di cui Daniella Luxembourg è una delle più appassionate sostenitrici, organizzando anche mostre monografiche come quelle dedicate a Burri, Fontana e Scarpitta nella propria galleria Luxembourg & Co.
“Ho sempre vissuto il collezionismo come un percorso istintivo e profondamente personale. Non sono mai stata attratta da un singolo movimento o nome, ma da opere che mi parlavano a livello viscerale – lavori carichi di energia, tensione, e storie da scoprire. Questi artisti portavano avanti la bandiera del modernismo in modo diverso, reinventando un nuovo vocabolario. C’è qualcosa di diretto, sofisticato e bello – senza la volontà di esserlo – e questo mi ha colpita” – Daniella Luxembourg
Una collezione materica
Filo rosso della collezione è dunque la materialità dell’arte, «il desiderio degli artisti di esplorare spazio e materia», mettendo in discussione la supremazia della tela come mezzo espressivo per eccellenza.

«Bellissima l’Italia di Luciano Fabro, Sullo Stato. Una forma plasmata con materiali diversi, con la scelta del piombo come materiale da modellare. È un’opera passata per le mani dei tre mercanti più influenti dell’Arte Povera: Gian Enzo Sperone, Christian Stein e Massimo Minini». Nel 1968, Fabro iniziò a trasformare il profilo geografico dell’Italia in un concetto mutevole. Realizzata in materiali che spaziano dal piombo al cristallo, dalla carta al ferro fino alla pelliccia, la sua Italia assunse presto forme sempre diverse. «La forma dell’Italia» disse Fabro, «è statica, immobile; misuro la mobilità delle mie mani contro una cosa immobile. L’Italia è come un album di schizzi, di memorie, che continuo a elaborare nel tempo».

Lucio Fontana, Concetto Spaziale, La fine di Dio, 1963. Stima: $12.000.000—18.000.000
Sulla stessa traiettoria dello “Stivale” di Fabro c’è un Concetto spaziale, La fine di Dio di Lucio Fontana in una delle sue forme magnifiche: a uovo. Questa di Daniella Luxembourg è imponente, glitterata: «Lo adoro – prosegue Claudia Dwek – è il terzo Fontana di questo tipo che da Sotheby’s vendiamo in 18 mesi. Lo adoro, ha dentro la forma della natura. Ma per Fontana sono di parte, è il mio artista preferito». Dei 38 dipinti che compongono la serie, questo Concetto spaziale, La Fine di Dio è uno dei soli dieci a presentare una superficie ricoperta di glitter – elemento visivo impressionante nell’evocazione celeste del cosmo da parte di Fontana. Altri due esemplari con glitter sono conservati al Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía di Madrid e alla Fondazione Lucio Fontana di Milano.
Da Burri a Pistoletto

Alberto Burri, Nero Cretto, 1976. Stima: $2.500.000—3.500.000
Di fronte all’uovo di Fontana, un monumentale Nero Cretto di Alberto Burri. Opera rara della serie dei Cretti, questa è il primo esemplare monumentale della serie ad essere offerto in asta da 15 anni a questa parte, nonché uno dei più grandi mai presentati sul mercato secondario. Dei 37 Cretti monumentali, solo 19 sono realizzati in nero.

Michelangelo Pistoletto, Maria nuda, 1969. Stima: $1.000.000—1.500.000
Molto apprezzata da Dwek la Maria nuda di Michelangelo Pistoletto. Ritrae Maria Pioppi, moglie e musa dell’artista, la cui posa richiama i nudi neoclassici del XIX secolo, «un’opera elegantissima, magnifica, sofisticata», commenta la presidente di Sotheby’s Europa. L’opera di Pistoletto riporta, in un contesto di astrattismo, il corpo al centro, instaurando un dialogo con la tradizione classica. In Maria nuda, come in altre opere di questo tipo, la ricerca si intensifica grazie alla superficie specchiante che coinvolge attivamente lo spettatore, fondendo arte e realtà.

Da sinistra a destra: Pistoletto, Fabro, Scarpitta nell'allestimento di Palazzo Serbelloni a Milano I
Ciascuno di questi artisti (con Oldenburg e Calder, pure in catalogo) nel rispondere agli effetti della guerra, al progresso scientifico e tecnologico, alle esplorazioni spaziali e al progresso tecnologico esercita la sua radicalità rifiutando pennello e cavalletto, e mettendo in discussione la bidimensionalità del piano pittorico attraverso “gesti sovversivi” (modellando, forando, lacerando e scolpendo) al fine di abbattere i confini tra pittura e spazio circostante.
Dwek, Sotheby’s: “L’Italia, centro importante per il grande collezionismo“
E la scelta di Milano? L’esperta non ha dubbi: «Milano, la città natale di Piero Manzoni, la città adottiva di Lucio Fontana. Sceglierla in luogo di Parigi è stata una decisione strategica, sia dal punto di vista logistico che del calendario. Quale occasione migliore per dare visibilità a questa collezione se non quella dei giorni (9-12 aprile) a cavallo fra art e design week, nel nostro meraviglioso spazio di Palazzo Serbelloni? Sotheby’s crede nell’Italia – prosegue Claudia Dwek – è da più di 30 anni che sono qui. Ho conosciuto in Italia collezionisti meravigliosi, questo è un paese ancora pieno d’arte e di un collezionismo colto, che ama acquistare in loco, senza prendere aerei per Parigi. Un collezionismo di provincia se vuole, ma non provinciale, molto importante fin dagli anni ’70».

Da sinistra a destra: Pistoletto, Fabro, Scarpitta nell'allestimento di Palazzo Serbelloni a Milano II