La scorsa primavera la giornalista Maeve McClenaghan pubblicava su The Guardian due articoli che trattavano la questione della corretta datazione di opere dell’artista inglese Damien Hirst. Le opere al centro dell’indagine giornalistica sono, da un lato, tre vasche di formaldeide contenenti, rispettivamente, una colomba, uno squalo e due vitelli, presentate presso gallerie di New York, Hong Kong, Monaco e Londra come create negli anni ’90, mentre le stesse risultano realizzate nel 2017.
La data di nascita di un’opera d’arte
Dall’altro, la giornalista riferisce che fonti accreditate indicherebbero che almeno mille opere riconducibili al progetto The Currency, 2016, rappresentate da punti dipinti a mano su un foglio formato A4 firmate e datate dall’artista come realizzate nel 2016 risultino essere state create nel 2018- 2019. Il progetto è consistito nella creazione di 10mila opere realizzate nello studio dell’artista da un folto gruppo di collaboratori, per le quali l’artista offrì agli acquirenti al momento della vendita la possibilità di conversione in nft.
I due casi, apparentemente simili, sono molto diversi in considerazione della platea di collezionisti acquirenti: il prezzo delle vasche di formaldeide è di svariati milioni di dollari, mentre le opere riconducibili a The Currency sono state collocate sul mercato per duemila dollari. Il progetto ha ricevuto molta attenzione da parte dei media, soprattutto per la parte relativa alla conversione dell’opera fisica in nft a scelta del proprietario, con l’incenerimento della prima realizzata in modo performativo dallo stesso artista.
Quale è l’origine di The Currency? Hirst avrebbe dichiarato di aver iniziato con poche centinaia di esemplari. La giornalista riporta questo pensiero dell’artista, a giustificazione del nome del progetto: “E se li avessi fatti e li avessi trattati come denaro?”. Ma per quale motivo l’artista avrebbe indicato una datazione diversa da quella di realizzazione? E questo fatto può essere considerato come un comportamento scorretto rispetto al mercato?
L’avvocato: Giuseppe Calabi
Il tema della datazione di un’opera è delicato: la legge non fornisce una risposta univoca alla seguente domanda: se il contratto di compravendita (o il catalogo d’asta) nella descrizione dell’opera oggetto del contratto indicano una data e dopo l’acquisto risulta che l’opera sia stata realizzata successivamente, l’acquirente può contestare al venditore un inadempimento consistente nell’avere consegnato un bene diverso da quello comprato? Sarebbe intuitivo rispondere in senso positivo, soprattutto se il valore economico dell’opera che risulti realizzata in anni successivi rispetto alla datazione indicata nel contratto sia inferiore rispetto a quello di un’opera effettivamente realizzata nell’anno dichiarato dal contratto.
“L’artista non si è comportato scorrettamente”
Gli avvocati di Hirst hanno negato qualsiasi comportamento scorretto da parte dell’artista, dichiarando che per un artista concettuale quale Hirst, la data rilevante è quella della concezione dell’opera e non quella della sua concreta realizzazione. Sarebbe sicuramente corretto indicare entrambe le date, ma nel caso di Hirst una supposta ambiguità della datazione non dovrebbe avere particolari conseguenze economiche per i proprietari.
E in Italia, ci sono state questioni sulla data dell’opera d’arte?
In Italia, il Tribunale di Milano nel 2012 ha affrontato il tema della datazione in un caso relativo ad un’opera di Mimmo Rotella, Orchidea Bianca 1963/69, venduta in asta al prezzo di euro 35.000, con datazione 1963/69. L’opera era autenticata dall’artista, che era anche presidente della fondazione. Nel 2006, dopo la morte di Rotella, l’acquirente si rivolse ad un’altra casa d’aste per rivenderla e la stima proposta fu di 200.000 euro.
Tuttavia, quando la casa d’aste si rivolse alla fondazione per una conferma dell’autenticità del quadro, quest’ultima indicò come data il 2001, con conseguente notevole riduzione della stima di vendita. A seguito di una causa avviata dal proprietario del quadro contro la fondazione, il Tribunale di Milano ha deciso che la fondazione non potesse essere ritenuta responsabile del danno rappresentato dal minor valore dell’opera, in quanto aveva svolto una ricerca diligente ed accurata che l’aveva condotta ad esprimere un’opinione tecnica sulla datazione dell’opera. Tuttavia, in considerazione del ruolo svolto dall’artista nell’indicare una erronea datazione, il Tribunale ha ritenuto equo compensare tra le parti le spese legali rispettivamente sostenute.
La storica dell’arte: Sharon Hecker sulla data dell’opera
Anche se può infastidire un collezionista, l’artista mentre è in vita ha l’ultimo controllo sulla datazione delle proprie opere. Nel corso della storia sono molti i casi in cui un artista non ha datato affatto le proprie opere e altri in cui l’artista le ha retrodatate, a volte per apparire più originale. Cambiare la datazione può essere una dichiarazione concettuale: Medardo Rosso ha fornito date diverse per la stessa opera in varie pubblicazioni, perché per lui il tempo era in continuo movimento e mai fisso. Gli artisti che rielaborano la stessa opera possono dare una “doppia data”, come ha fatto Robert Indiana per il suo LOVE, (1966-99), indicando che l’opera era una serie in corso o è stata continuata negli anni, o ripresa e rivista dopo la prima realizzazione. Un’opera d’arte realizzata da una matrice pone particolari problemi di datazione.
La data dell’opera d’arte nel caso di: scultura seriale, fotografia, litografie
Per la scultura seriale, la fotografia e le litografie, dobbiamo datare l’opera al momento della creazione originale del soggetto o alla data di fusione o stampa, che potrebbero essere molto più lontane nel tempo? Se l’opera è stata fusa o stampata dopo la morte dell’artista, ignoriamo questa data successiva? Indichiamo una data postuma? E se non sappiamo esattamente quando è stata realizzata la fusione o la stampa? Abbiamo il diritto di inventare una data per colmare questo vuoto di conoscenza? E che dire di un’opera d’arte che esiste solo come insieme di istruzioni, come il Wall Drawing di Sol Lewitt o le caramelle di Felix Gonzalez-Torres? Quale data assegniamo a queste opere? La data di concezione o di esecuzione, o entrambe? Dopo la morte di un artista, una data può essere aggiunta da un parente o un erede. Ma una ricerca successiva può scoprire che i materiali dell’opera non esistevano ancora a quella data, o che c’è una mancata corrispondenza stilistica con altre opere datate a quel periodo.
A quel punto gli storici dell’arte possono tentare di definire una data – o un intervallo di date – attraverso prove circostanziali: aspetti visivi e stilistici, fotografie, diari, storie di commissioni, lettere, ricevute di vendita, contratti, mostre in vita, recensioni di giornali, timbri e sigilli, persino oggetti che si trovano in un quadro. Si possono utilizzare prove materiali come pigmenti, tele e pratiche di fonderia. E visto che le date possono essere messe in discussione, modificate e ridefinite, suggerisco, come forma di due diligence, di spiegare in dettaglio le ragioni che sono alla base di una nuova datazione. Un’accurata analisi storico-artistica di questo tipo può fornire una protezione nel caso di una futura battaglia legale.