In risposta alle recenti pronunce della Suprema Corte, il legislatore ha esteso il regime di “participation exemption” (Pex), ovvero la parziale esenzione fiscale delle plusvalenze, ai soggetti residenti in Stati membri dell’Unione europea o in Stati aderenti all’accordo sullo Spazio economico europeo (See), che non dispongono di una stabile organizzazione in Italia.
La revisione della normativa è stata innescata dalla Corte di Cassazione che, ponendo in evidenza la necessità di una riforma legislativa per eliminare le disparità di trattamento tra società residenti e non residenti, ha riconosciuto la legittimità delle richieste di rimborso presentate da società estere.
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Le novità della legge di bilancio 2024 sul regime Pex
Con la legge di bilancio 2024, il legislatore italiano ha compiuto un passo significativo nel processo di armonizzazione della normativa nazionale con il diritto europeo, in particolare rispetto alla tassazione delle plusvalenze. Proprio l’estensione del regime “participation exemption” (Pex) alle società residenti negli Stati membri dell’Ue e dello Spazio economico europeo (See), senza stabile organizzazione in Italia, rappresenta una risposta diretta ai recenti sviluppi giurisprudenziali sia a livello nazionale che europeo.
Il nuovo comma 2-bis inserito nell’articolo 68 del Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir) modifica in modo sostanziale l’applicazione della disciplina Pex. A partire dal 1° gennaio 2024, le plusvalenze realizzate dalla cessione a titolo oneroso di partecipazioni qualificate, fatta eccezione per quelle provenienti da entità situate in Paesi o territori con regimi fiscali di favore (come specificato nell’articolo 68, comma 4, del Tuir), verranno aggiunte – per il 5% del loro valore totale – alle relative minusvalenze.
Nell’ipotesi in cui le minusvalenze superino le plusvalenze, la somma in eccedenza potrà essere detratta dal reddito – nel limite del 5% del totale delle plusvalenze – nei periodi di imposta successivi, per un massimo di quattro periodi.
Questa detrazione è subordinata all’indicazione specifica nella dichiarazione dei redditi del periodo fiscale in cui sono state realizzate le minusvalenze.
Le indicazioni della Cassazione sul regime Pex
La revisione normativa segue le indicazioni della Corte di Cassazione che, attraverso le sue decisioni, ha sottolineato la necessità di allineare la normativa italiana alle direttive europee, in particolare in materia di libera circolazione dei capitali e di libertà di stabilimento, come delineato dagli articoli 49 e 63 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue).
Invero, già nella sentenza del 19 novembre 2009, causa C-540/07, la Corte di Giustizia dell’Unione europea aveva chiarito che l’ordinamento europeo consente, all’articolo 65 del Tfue, distinzioni fiscali basate sulla residenza, purché non ostacolino arbitrariamente la libera circolazione dei capitali. I giudici europei avevano riconosciuto che, se uno Stato membro tassa i dividendi sia di azionisti residenti che non residenti, potrebbe verificarsi una doppia imposizione economica o a catena: per evitare ciò, lo Stato deve garantire un trattamento fiscale paritario per società azioniste non residenti, in linea con le normative europee.
Parallelamente, sul fronte nazionale, con la sentenza n. 12138 del 2019, la Corte di Cassazione aveva evidenziato come la riforma fiscale del 2004 avesse allineato il trattamento delle plusvalenze da cessione di partecipazioni a quello dei dividendi.
La legge delega del 2003 ha introdotto un cambiamento sostanziale, basandosi sul principio di tassazione dei redditi al momento della loro generazione.
Il trattamento fiscale del regime Pex
Questo ha portato a una parziale esenzione fiscale sia per i dividendi (95%) che per le plusvalenze da cessioni (95%), con l’obiettivo di armonizzare il sistema fiscale italiano con quello degli altri Stati membri dell’Ue e di favorire la mobilità aziendale.
Pertanto, la riforma fiscale ha identificato un principio comune e coerente per regolare sia l’esclusione dei dividendi dalla tassazione sia l’esenzione delle plusvalenze: prevenire la doppia imposizione economica dello stesso reddito. Così operando si è stabilito un trattamento fiscale equo, volto a semplificare le operazioni commerciali, armonizzando il sistema fiscale italiano con le normative e le pratiche prevalenti nell’Unione europea.
Criticità e discordanza tra la normativa italiana e il diritto unionale sul regime Pex
Senza ombra di dubbio, la recente revisione normativa rappresenta un passo rilevante nel contesto dell’evoluzione legislativa, tuttavia non è esente da critiche. Persistono, infatti, alcune problematiche di coerenza con il quadro giuridico sovranazionale, richiedendo un’analisi più approfondita e una riflessione critica per assicurare una totale aderenza ai principi e agli standard imposti dall’Unione europea.
In particolare, emerge una prima criticità nella decisione di limitare l’ambito di applicazione della nuova normativa esclusivamente alle società e agli enti commerciali residenti in uno Stato membro dell’Ue o dello See che dispongono di un adeguato meccanismo di scambio di informazioni. Questa scelta sembra non essere pienamente allineata con lo spirito del principio di libera circolazione dei capitali, che – idealmente -avrebbe richiesto un’estensione della disciplina anche ai soggetti residenti in Paesi terzi in grado di assicurare uno scambio di informazioni efficace con l’Italia.
Un ulteriore punto di discordanza tra la normativa italiana e il diritto unionale è riscontrabile relativamente alla disciplina applicabile sino al 31 dicembre 2023: la normativa attuale non fornisce indicazioni specifiche riguardo al trattamento delle plusvalenze accumulate fino a tale data.
In ogni caso, alla luce della tendenza interpretativa emersa nelle recenti sentenze giurisprudenziali, l’Amministrazione finanziaria dovrebbe considerare valide le richieste di rimborso già presentate, così come quelle che saranno inoltrate da entità domiciliate nell’Unione europea o nello Spazio economico europeo, relative alle maggiori imposte pagate sulle plusvalenze realizzate entro la suddetta data.
Questo atteggiamento sarebbe coerente con l’orientamento giurisprudenziale verso una maggiore armonizzazione e conformità alle direttive e ai principi dell’Unione europea.