Oggi il cigno nero che stiamo fronteggiando è, al contrario, una pandemia senza confini territoriali definiti e con orizzonti di durata temporale piuttosto incerti. L’interruzione delle attività economiche non consegue alla distruzione di immobili e infrastrutture, ma alle misure normative emergenziali emanate dalla maggior parte dei governi nazionali allo scopo di evitare il contatto tra persone e arginare la diffusione del contagio.
In questo contesto di grandissima difficoltà per tutti, stiamo assistendo a interruzioni diffuse del pagamento dei canoni di locazione – anche da parte di conduttori di elevato standing – e a richieste di interventi normativi volti a garantire un diritto alla sospensione dei pagamenti.
Per cercare di essere comunque positivi e cogliere un insegnamento da quanto stiamo vivendo, quale potrebbe essere un suggerimento sia per gli investitori che per i tenant?
Un’idea è quella di valutare la diffusione nella prassi del mercato delle locazioni di polizze assicurative a copertura della business interruption, ancor meglio se estese – secondo alcuni modelli di elaborazione anglosassone – a eventi che riguardano non solo l’assicurato, ma anche i suoi fornitori o i suoi clienti (le polizze note come “contingent business interruption / income / dependant properties”).
Il rischio assicurato in queste polizze può estendersi, oltre alle perdite economiche dirette derivanti dall’interruzione dell’attività, alle spese straordinarie necessarie per riprendere l’attività “ordinaria” – nel cosiddetto “period of restoration” – a seguito dell’interruzione degli approvvigionamenti e degli ordini.
Premettiamo subito che l’offerta di questa tipologia di prodotti assicurativi è attualmente assai limitata in Italia. I modelli di queste polizze sono stati elaborati su principi di common law e sono stati introdotti e declinati nel nostro paese soprattutto per il mercato dei trasporti marittimi. Inoltre occorre considerare l’indubbia difficoltà per gli assicuratori e i riassicuratori di valutare e “prezzare” adeguatamente il rischio pandemico, i cui dati di diffusione e sviluppo sono spesso poco accurati e ancor peggio vengono elaborati e prospettati con criteri non omogenei, anche sulla spinta di esigenze politiche o mediatiche.
Ma quali potrebbero essere i vantaggi?
Gli investitori potrebbero contare su locazioni più stabili – cauterizzando il rischio di interruzioni del flusso dei canoni e quello ancor peggiore di recessi dai contratti per “gravi motivi”, con la necessità conseguente di cercare nuovi tenant per gli spazi liberati in un contesto economico depresso – con indubbi benefici per la tenuta complessiva del sistema finanziario legato agli investimenti immobiliari.
Per i conduttori – in particolare per le pmi – questa tipologia di copertura assicurativa potrebbe consentire una migliore gestione del business continuity planning, elemento essenziale – unitamente alla gestione “emergenziale” della supply chain – per cercare di restare competitivi anche in un contesto di pandemia.
La diffusione nella prassi di queste coperture assicurative consentirebbe poi di migliorare la gestione del rischio, anche in una prospettiva solidaristica (come per le assicurazioni obbligatorie dei sinistri lavorativi o della responsabilità civile auto), consentendo di estendere la platea di assicuratori/riassicuratori e la concorrenza sul mercato dei premi ed evitando così la concentrazione del rischio su poche imprese assicurative e di riassicurazione, che potrebbero trovarsi in condizione di non riuscire a far fronte alle richieste di indennizzo per eventi pandemici gravi come quello in corso.
Per la diffusione di queste polizze appare dunque fondamentale il ruolo di assicuratori e riassicuratori, sia per la corretta definizione dell’underwriting (ovvero il rischio assicurabile), sia per proporre premi gestibili e coerenti con il futuro contesto economico, che si prospetta assai complesso e per di più pesantemente gravato dai debiti nazionali ingigantiti.