Lo chiamano direttamente Palazzo. Sul sito di Sotheby’s Realty International, che ne ha in carico la vendita, la casa di Gianni Versace (1946-1997) a Manhattan – al 5 di East 64th Street, a due passi da Central Park – è identificata in Italiano. Un tripudio di marmi, velluti e stucchi che i candidi esterni in pietra calcarea appena lasciano immaginare. Un’esibizione contemporanea del barocco, senza alcuna remora di celebrare il lusso, nello stile più autentico di un genio indiscusso della moda. Non certo un rifugio per gli amanti del minimalismo.
Il palazzo è largo circa 10 metri e mezzo per oltre 1300 metri quadri di estensione, distribuiti in 17 stanze. La pavimentazione alterna marmi italiani a parquet austriaci e mosaici, gli ambienti sono ritmati da colonne e greche, bordature in oro. I bagni sembrano spa. A questi spazi si sommano i 280 metri quadri di spazio esterno / giardino privato, con fontana e terrazzo. Il tetto della struttura, arredato con alcuni gazebo, si affaccia su Madison Avenue e la Quinta Strada.
Versace aveva acquistato l’immobile nel 1995, soli due anni prima della sua prematura scomparsa. Riuscì, in quel breve lasso di tempo, a trasformare l’abitazione neoclassica in un manifesto del barocco italiano. Rimasta in possesso della famiglia fino al 2005, la casa viene acquistata dal gestore hedge-fund Thomas Sandell, che non solo ne mantiene l’estetica, ma se ne prende cura. Oggi, quel palazzo è uno degli asset più ambiti della città, non solo per il suo valore intrinseco, ma anche per quello simbolico, legato alla personalità dello stilista italiano.
Fin dagli anni ’80, Versace aveva costruito un impero basato non solo sulla couture, ma anche sul design (suppellettili, arredamento, tessuti) e l’amore primigenio per il teatro: fu, infatti, nel teatro di Reggio Calabria che lo stilista iniziò la sua folgorante carriera, creando costumi-scultura simbolo del suo amore mai sopito per la Magna Grecia.
In seguito, avrebbe calcato i più prestigiosi palcoscenici internazionali con molteplici allestimenti: si pensi solo alle collaborazioni con il regista e artista Bob Wilson per La Scala (Salomè, Doktor Faustus), a quelle con Maurice Béjart, Roland Petit e l’American Ballet Theatre, John Cox, William Forsythe, Twyla Tharp.