Dal 1° gennaio 2021, invece, il Regno Unito non è più parte del territorio doganale e fiscale dell’Unione Europea ed è dunque qualificabile quale “Paese terzo” rispetto alla Ue.
Numerosi sono gli effetti fiscali della Brexit che gli operatori e i consulenti si trovano a gestire dallo scorso 31 dicembre: cambiano le regole in tema di Iva e dazi, cessa il diritto delle società inglesi di poter beneficiare dell’esenzione da ritenuta prevista dalle direttive europee sinora applicabili in tema di interessi, royalty e dividendi, mutano le regole per le operazioni societarie transfrontaliere.
Dallo scorso 1° gennaio, quindi, con riferimento ai pagamenti di interessi/royalty corrisposti a soggetti fiscalmente residenti nel Regno Unito, in assenza di accordi specifici siglati con l’Unione europea per la disciplina dei rapporti reciproci al termine del periodo transitorio, l’esenzione di cui all’articolo 26-quater del Dpr n. 600/1973 non trova più applicazione.
Allo stesso modo, le società inglesi non possono più fruire dell’esenzione da ritenuta sui dividendi corrisposti dalle società “figlie” italiane prevista dalla direttiva 2011/96/Ue.
L’articolo 27-bis del Dpr 600/1973, introdotto in recepimento di tale direttiva, prevede – al ricorrere di determinate condizioni – l’esenzione da ritenuta operata in Italia sui dividendi percepiti dalle società che detengono una partecipazione diretta non inferiore al 10% del capitale della società di capitali italiana che distribuisce gli utili.
Vi è di più. Non sarà più applicabile neppure la ritenuta (ridotta) dell’1,20% prevista dall’articolo 27, comma 3-ter del Dpr 600/1973 per gli utili distribuiti alle società residenti in Stati Ue (o Eea).
Quanto alle operazioni societarie cross-border, a partire dal 1° gennaio 2021 le operazioni di fusione, scissione (anche parziale), conferimento d’attivo e scambio di azioni tra società Uk e società appartenenti all’Eea non seguono più le regole introdotte dalla direttiva 2009/133/Ce sinora applicate. Di conseguenza, gli artt. 178 Tuir e ss., che contengono la disciplina dettata dalla citata direttiva, non possono più essere applicati qualora l’operazione transfrontaliera coinvolga una società Uk.
Tali operazioni cross-border, pertanto, non potranno più avvenire in regime di “neutralità” fiscale, con tassazione differita al momento dell’effettivo realizzo, ma, al contrario, potrebbero implicare l’emersione di plusvalenze tassabili in capo alle società partecipanti all’operazione. Restano salve solo le fusioni cross-border perfezionatesi entro la fine dello scorso anno.
Questi temi ci inducono a riflettere sulla portata degli effetti della Brexit in ambito fiscale che potranno avere ripercussioni sui gruppi transnazionali con holding o subsidiary residenti nel Regno Unito. A tale riguardo, i diversi operatori di settore saranno chiamati ad operare attente valutazioni sulla attuale struttura della catena del controllo del gruppo, piuttosto che sulla articolazione della supply chain, soprattutto in presenza di società “captive” (deputate all’erogazione di servizi in forma centralizzata) che accentrano presso di sé la titolarità di IP e/o la tesoreria del gruppo.
Articolo scritto in collaborazione con Christian Viceconte e Clemente Tamburini, dottori commercialisti di Lca Studio Legale