Tuttavia, ancor prima di affrontare questo tema, è opportuno porsi una domanda che renderà più chiare e comprensibili alcune tesi di seguito sostenute: l’arte si può davvero considerare un asset class? I principali manuali di finanza definiscono le asset class come “categorie di investimento” o – declinandone più specificamente il significato – come “insiemi di strumenti finanziari con caratteristiche di categorie di investimento” o – declinandone più specificamente il significato – come “insiemi di strumenti finanziari con caratteristiche simili e comportamento analogo sui mercati”.
Siamo certi, dunque, che le opere d’arte rispondano a tale definizione? Tre sono gli aspetti che, nell’opinione di chi scrive, appaiono degni di riflessione.
L’opera, di per sé, non è uno strumento finanziario
Innanzitutto – senza per questo voler assumere posizioni di chiusura aprioristica e di assoluta intransigenza – l’opera d’arte, di per sé, non è uno “strumento finanziario”. È un bene, frutto della creatività e dell’ingegno del suo autore, certamente sottoposto alle leggi del mercato, certamente dotato di un valore economico (molto spesso significativo!) e che certamente – in presenza di determinati presupposti – può rivalutarsi nel tempo, garantendo a chi lo possiede anche ingenti soddisfazioni. Tali caratteristiche non sono sufficienti, tuttavia, per renderlo uno “strumento finanziario”.
L’unicità dell’opera d’arte – tratto peculiare che spesso rende non confrontabili anche opere del tutto simili fra di loro – avvalora la tesi e pone su piani assolutamente differenti il bene d’arte da qualunque altro genere di beni – ancorché reali – quali gli immobili, le pietre preziose o altri collectible (beni da collezione, ndr), quali gli orologi e le auto d’epoca. Considerazioni diverse valgono, evidentemente, per i fondi d’investimento in arte o per i prodotti finanziari – più o meno di successo – che usano l’arte come collaterale. Ma su questo torneremo più avanti.
Non c’è una sola definizione per l’arte come asset
Il secondo aspetto degno di riflessione è rappresentato dalla omogeneità “di caratteristiche e comportamento sul mercato” che definisce il principio stesso di asset class. Non corrisponde a verità che l’arte, tout court, appartenga ad un’unica classe così come non corrisponde a verità che specifici comparti – come, ad esempio, quello dell’arte contemporanea o degli old master – raggruppino al proprio interno opere ed autori con comportamenti di mercato analoghi. Tale affermazione appare quanto mai vera se si considerano come metriche di valutazione proprio i parametri mutuati dal mondo finanziario, quali la liquidità, la volatilità o il livello delle quotazioni.
Il mercato ha dimensioni estremamente ridotte
Il terzo punto meritevole di approfondimento riguarda l’ampiezza del mercato: The Art Basel and UBS Global Art Market Report del 2017 spiega come poco meno della metà delle vendite concluse tramite aste, a livello internazionale, riguardi solamente l’1% circa degli artisti, così come solo il 15% e l’1% degli artisti abbia quotazioni medie superiori, rispettivamente, a 50.000 dollari e a 1.000.000 di dollari. Cosa significa? Che quello dell’arte è un mercato dalle dimensioni estremamente ridotte e polarizzato su un numero ristrettissimo di artisti che “tutti” desiderano e per cui “tutti” sono disposti a sborsare cifre da capogiro.
Paradossalmente, se la domanda crescesse in modo esponenziale, il mercato non sarebbe in grado di rispondere, se non costruendo ad hoc nuovi artisti-brand con operazioni di marketing studiate a tavolino, sulla cui tenuta delle quotazioni nel tempo è lecito nutrire qualche riserva.
Tali affermazioni non vogliono apparire come sterili questioni lessicali bensì introdurre una modalità di lettura del mercato dell’arte e di approccio all’acquisto del “bene opera d’arte” non allineati a una diffusa prassi che considera l’arte alla stregua di qualsiasi altro asset o di qualsiasi altra forma di investimento, mutuando dal mondo finanziario terminologie, criteri di valutazione e comportamenti d’acquisto assolutamente forzati e che, nella maggior parte dei casi, non possono e non riescono a trovare sponda e conforto in chi quel mercato davvero lo conosce e “lo fa”.
Tornando alla domanda da cui si è partiti, nella vasta ed eterogenea categoria dell’arte va detto che rientrano senz’altro beni con valori patrimoniali rilevanti che, per questa ragione, devono essere considerati non solo come passioni (che in quanto tali sono spesso coltivate come divertissement e con una certa – e quasi voluta – leggerezza), bensì come componenti non trascurabili della ricchezza degli individui.
Numerosi studi condotti da altrettanto autorevoli osservatori a livello internazionale, sulla ricchezza dei cosiddetti high net worth individuals stimano infatti che l’arte – soprattutto in paesi con una forte tradizione collezionistica – rappresenti una delle quote maggioritarie del patrimonio reale di questi soggetti e che tale quota, anche in ragione dell’attuale congiuntura economica mondiale, sia destinata addirittura ad incrementare nei prossimi anni.
Una asset class dalla vibrante passione
Quanto emerge dagli studi sopra indicati conferma come l’arte sia sempre stata legittimamente considerata dai soggetti più solidi dal punto di vista patrimoniale una vibrante passione, per le emozioni che è in grado di trasmettere, e un valido strumento per diversificare le proprie ricchezze, acquisendo beni capaci di mantenere – e tal- volta accrescere – il proprio valore nel tempo, oltre che di soddisfare esigenze più effimere ed immateriali quali il perseguimento di un progetto collezionistico o di un riconoscimento sociale.
Tale approccio all’acquisto di opere d’arte – scevro di ambizioni meramente speculative – appare essere dunque il più auspicabile, oltre a trovare ulteriore conforto nella possibilità, da parte del collezioni- sta, di beneficiare di altri vantaggi – afferenti, ad esempio, alla sfera fiscale e a quella successoria – che decadono, al contrario, laddove a prevalere è l’intento speculativo.
Alessandro Guerrini, Amministratore delegato di Art Defender