In particolare, la legge è stata giudicata come impianto non organico, considerato che il titolo stesso si riferiva all’usura ed estorsione e poi alla composizione della crisi.
Pertanto, sul finire del 2012, a esclusione degli enti pubblici, tutti i soggetti, siano essi imprenditori non fallibili o consumatori, per effetto della legge sul sovraindebitamento, potevano contare sulla possibilità di gestire la crisi con procedure fondamentalmente concorsuali.
Con l’entrata in vigore del codice della crisi, si è avuto una sorta di unitarietà del sistema con la finalità di non vedere più il fallimento dell’impresa come sanzione (per cui si riteneva che un’impresa fallita si dovesse escludere dal mercato, così perseguendo un vantaggio per la società e per i creditori), ma con la finalità di salvare l’azienda, sia per meglio tutelarla, ma anche per garantire i creditori e i gettiti fiscali per lo Stato.
Lo Stato si è reso conto dell’importanza di non far fallire le aziende nel nome della tutela della loro continuità e passaggio generazionale, ma anche nel nome della tutela dei creditori, che spesso a fronte del fallimento, non riusciva ad essere soddisfatta, in quanto frequentemente i crediti non venivano recuperati, se non in percentuali bassissime.
Tutti sappiamo che esiste una norma di carattere generale, l’art. 2740 c.c. in forza del quale “il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. Le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge”.
Per fare qualche esempio, di limitazione di responsabilità, abbiamo i veicoli societari nell’impresa, con la summa divisio fra società di persone e società di capitale, le prime filtri meno efficaci delle seconde per effetto della responsabilità illimitata dei soci nei confronti dei creditori.
Se da un lato, l’impianto del codice della crisi e dell’insolvenza, già in gran parte entrato in vigore, in forza del d.lgs n. 14 del 2019, miri a tutelare l’impresa dal fallimento, dall’altro lato, l’impianto stesso, tuttavia, allarga la responsabilità patrimoniale dell’imprenditore-amministratore e, nel contempo, crea ulteriori campanelli di allarme per il patrimonio di quest’ultimo.
La prima norma da considerare è sicuramente l’art. 375 del D. Lgs. nr. 14/2019, il quale ha aggiunto all’ art. 2086 c.c. il seguente comma 2: “L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha:
- il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di (quindi altro dovere),
- attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”.
A nuovi obblighi non possono che discendere nuove responsabilità in capo alle sole imprese in forma societaria (di persone o di capitali).
Al riguardo, non si comprende come mai non si faccia riferimento alle imprese individuali, anche se il disposto del primo comma dell’art. 3 del d.lgs. n. 14/2019, rubricato dei «doveri del debitore», dispone che, a cominciare dal 14 agosto 2020, poi rinviato all’1.9.2020, «l’imprenditore individuale deve adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi ed assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte».
Queste norme di carattere generale, diventano poi di carattere speciale per gli amministratori, con la nuova formula di responsabilità (personale) contenuta nell’art. 2476 cod. civ. al quale l’art. 378 D. Lgs. nr. 14/2019, introduce il nuovo comma 6 che prevede: “Gli Amministratori rispondono verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale. L’azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti. La rinunzia all’azione da parte della società non impedisce l’esercizio dell’azione da parte dei creditori sociali. La transazione può essere impugnata dai creditori sociali soltanto con l’azione revocatoria quando ne ricorrono gli estremi”.
Ogni creditore sociale (a prescindere dalla sua natura ed entità del credito) potrà quindi agire nei confronti degli amministratori per avere quanto dovuto dalla società, qualora la gestione della stessa non risulti impostata nell’ottica della preservazione del patrimonio sociale.
Di qui è presto fatto il collegamento con il nuovo comma 2 art. 2086 c.c. che obbliga la società all’adozione di un modello aziendale adeguato e idoneo alla rilevazione tempestiva della crisi, nonché della perdita di continuità aziendale.
Quale sarà il problema? L’adozione degli assetti organizzativi non sarà astrattamente definibile, ma solo nel caso concreto e su misura.
Ad aggravare il tutto, vi è poi la responsabilità solidale con gli amministratori di srl dei revisori contabili, i quali, peraltro dovevano essere nominati entro il 16.12.2019, per le società srl, le cui soglie dimensionali di fatturato e attivo sono maggior di 4 milioni di euro e più di 20 dipendenti.
Il revisore incaricato ha, infatti, l’obbligo di verificare la sostenibilità dei debiti aziendali per ogni semestre e verificare che non ci siano anomalie gestionali indicate dalla legge, altrimenti dovrà avviare la procedura di allerta ed eventualmente segnalare la crisi all’Ocri (Organismo di composizione assistita della crisi).
La posizione del revisore è quindi, come, peraltro, quella degli amministratori, abbastanza delicata. Da un lato, perché, trattandosi delle pmi, gli incarichi non troveranno adeguata remunerazione al cospetto dell’attività da svolgere, dall’altro lato, perchè la responsabilità solidale in caso di mancata segnalazione all’Ocri porterebbe il revisore a segnalare anche anomalie di fatto innocue per non essere coinvolto in responsabilità.
Ma quale sarebbe il danno risarcibile a cui sarebbero tenuti l’amministratore e il revisore?
Il legislatore, con l’art. 378, comma 2, ha pure disciplinato la quantificazione del danno, seppure in modo presuntivo, vale a dire ha precisato che il risarcimento potrebbe estendersi fra la differenza matematica tra il patrimonio netto al momento in cui si sarebbe dovuta intraprendere la procedura di allerta e il patrimonio netto al momento dell’apertura della procedura concorsuale (default).
L’entrata in vigore anticipata degli artt. 375 e 378 comma 2, rispetto alla maggior parte delle restanti disposizioni del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, dimostra come l’applicazione delle nuove regole di governance delle società di persone e a responsabilità limitata, prescinda dall’emersione dello stato di crisi o di insolvenza e proietti il consulente patrimoniale a ricercare forme di tutela del patrimonio personale di amministratori e revisori, sempre salvaguardando, tuttavia, ciò che prescive l’art.2740 c.c. in tema di responsabilità patrimoniale.