L’Uomo Vitruviano: a chi appartiene Leonardo?

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Dialogo tra un avvocato e una storica dell’arte a margine della recente querelle sull’Uomo Vitruviano

Prologo

Il 24 ottobre si è aperta al Louvre la mostra Leonardo da Vinci. Tra le 179 opere esposte, i visitatori possono ammirare l’Uomo Vitruviano, disegno di proprietà dello Stato Italiano ed in deposito presso le Gallerie dell’Accademia a Venezia.

Poco prima dell’apertura della mostra, in data 8 ottobre, su ricorso di Italia Nostra, il Tar Veneto ha sospeso l’autorizzazione del Direttore delle Gallerie dell’Accademia al prestito del disegno, nell’ambito del Memorandum d’Intesa tra il MiBact ed il Ministero della Cultura Francese sul partenariato per il prestito di opere di Leonardo da Vinci al Louvre e di Raffaello Sanzio alle Scuderie del Quirinale firmato dai rispettivi ministri il 24 settembre 2019, rinviando a successiva udienza la conferma del provvedimento cautelare. Il 16 ottobre il Tar ha respinto la domanda cautelare di Italia Nostra con condanna alle spese, confermando la legittimità del prestito dell’Uomo Vitruviano al Louvre.

La questione dell’Uomo Vitruviano

Le questioni affrontate dal Tar riguardano la legittimità del Memorandum d’Intesa tra Italia e Francia e quella del provvedimento di autorizzazione del prestito da parte del direttore del museo veneziano. Rispetto all’accordo di partenariato Italia-Francia, il Tar ha correttamente sostenuto di non potersi esprimere, in quanto si tratta di un atto di diritto internazionale che “non
costituisce di per sé un vincolo per l’azione amministrativa”, dovendo lo stesso essere “attuato nel rispetto delle legislazioni italiana e francese”. Con riferimento al provvedimento di prestito, il Tar ha ritenuto che il direttore del museo abbia agito in modo conforme alla legge.

Questo il ragionamento: (i) il prestito di un’opera si inquadra nel principio di valorizzazione del patrimonio culturale (cioè promozione della sua conoscenza e pubblica fruizione: articolo 6 del Codice dei Beni Culturali); (ii) la decisione sul prestito è caratterizzata da amplia discrezionalità; (iii) il giudice può intervenire solo nel caso in cui la decisione sia viziata da “manifesta illogicità, incongruità, travisamento o macroscopici difetti di motivazione o di istruttoria”.

La decisione non è viziata ed è rispettosa anche dei due limiti posti dalla legge ai prestiti temporanei a favore di musei stranieri (art. 66 del Codice): (a) non vi deve essere il rischio che le opere subiscano “danni nel trasporto o nella permanenza in condizioni ambientali sfavorevoli” e (b) le opere non devono costituire “il fondo principale di una determinata ed organica sezione di una pinacoteca”.

In altre parole: il trasporto e la permanenza al Louvre non mettono a rischio l’integrità del disegno e lo stesso non costituisce il “fondo principale” della galleria dell’Accademia. Il Tar ha anche sottolineato come la decisione fosse motivata dall’eccezionale rilevanza mondiale dell’esposizione, l’aspirazione del Paese a valorizzare al massimo le potenzialità del suo patrimonio, il valore di collaborazione e scambio tra stati espresso nel Memorandum, oltre che il ritorno di immagine e di riconoscibilità, anche identitaria, delle Gallerie dell’Accademia quale depositaria di opere di Leonardo, l’implementazione dei rapporti culturali e museali tra le Gallerie ed il Louvre, nonché il vantaggio conseguito in forza del prestito per lo scambio con opere di Raffaello Sanzio destinate ad una mostra presso le Scuderie del Quirinale.

Viene però il dubbio che alla base di questa vicenda vi siano altre motivazioni che hanno a che fare con il principio di “appartenenza” di Leonardo al patrimonio culturale italiano in base al quale debbano essere ostacolate iniziative di valorizzazione presso musei stranieri. [G.C.]

Dal punto di vista di un curatore, le mostre sono “l’arte del possibile.” Spesso creiamo una narrativa su un artista o un tema, scegliendo opere che raccontano nel modo più efficace la storia che vorremmo proporre al pubblico. Ma in ogni mostra capita che ci scontriamo con numerosi limiti: opere troppo fragili, proprietari restii a separarsi dai loro preziosi oggetti, musei che hanno già promesso ad altri la stessa opera, costi di trasporto troppo elevati, ecc.

L’“arte” di essere curatore è quella di raccontare la mostra con le opere che si riesce ad avere. Quando ci viene comunicato il problema della fragilità dell’opera come motivo per la negazione di un prestito, è sempre di buona prassi condurre una due diligence coinvolgendo specialisti di parte ma anche voci autonome.

A mio avviso, nel caso politicamente delicato dell’Uomo Vitruviano, un comitato internazionale di conservatori e conservation scientistsa competenti in opere rinascimentali su carta, con specifica esperienza sui disegni di Leonardo, avrebbe potuto meglio esprimere un parere neutro sulla possibilità di far viaggiare l’opera senza causarle danni. Detto questo, sarebbe realmente difficile raccontare la storia di Leonardo in una mostra senza L’Uomo vitruviano, un’opera che ha suscitato un fascino enorme su artisti da tutto il mondo in molte epoche, da Blake a Léger, Masson, Dalí, Mapplethorpe, Fabro, e fino a Gormley, Pistoletto e Abramovic.

Come l’ombelico dell’Uomo Vitruviano, che segna il punto centrale del disegno (dove l’artista ha messo il compasso) e da cui, come tanti artisti notano, nasce il mondo. Per secoli gli artisti si sono ispirati a questo minuscolo ma potentissimo disegno, arricchendo la nostra cultura con delle opere nuove che continuano un dialogo costante con il passato.

Leonardo continua a essere un valore culturale non solo per l’Italia ma per il mondo intero. Lui stesso sarebbe probabilmente rimasto perplesso del concetto di appartenenza a una singola nazione, non solo per la sua permanenza in Francia ma anche per le sue ispirazioni artistiche.

Leonardo ha preso la sua tecnica famosa dello sfumato dall’arte dell’Europa del Nord; le sue opere possono quindi essere rivendicate come di proprietà esclusiva del Nordeuropa? I conservatori ci dicono che il maestro ha importato i preziosi lapislazzuli dall’Afghanistan per il pigmento blu. Questo dà all’Afghanistan il diritto di rivendicare un’appartenenza? Forse occorre una nuova forma di ragionamento, una sorte di “matrimonio culturale” invece di patrimonio culturale, che si sforzi di oltrepassare le questioni politiche e di marketing per restituire l’arte all’arte. [S.H.]

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