Opere pubbliche riprodotte senza consenso: il caso del David

Le immagini più note della storia dell’arte possono essere riprodotte con fine di lucro? Ecco cosa è successo nel caso del David di Michelangelo…

Se sul web ricerchiamo l’hashtag #Firenze, compaiono migliaia di foto postate da turisti, visitatori e art-lovers di tutto il mondo. Tra i soggetti più condivisi, il David di Michelangelo della Galleria dell’Accademia.

Nel nostro ruolo di consulenti legali esperti di diritto dell’arte e di diritto d’autore, spesso veniamo interpellati sul tema della utilizzabilità di immagini e video che ritraggono monumenti o opere d’arte appartenenti allo Stato.

Soprattutto, l’attenzione si concentra sulla utilizzabilità delle riproduzioni di questi particolari beni a fini commerciali.

Alcune premesse sono doverose.

Innanzitutto, non bisogna mai scordare che il titolo di proprietà dello Stato rispetto a determinati beni trova espresso riconoscimento, oltre che nel codice civile (articoli 822 e seguenti), anche nell’art. 10 del Codice dei Beni Culturali (Decreto Legislativo n. 42/2004), il quale, appunto, ricomprende tra i beni culturali “… le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro…”.

Con questo concetto in mente, occorre poi tener presente che, in base all’art. 107 del citato D. Lgs. 42/2004, il Ministero per i beni e le attività culturali, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono consentire, tra l’altro, la riproduzione dei beni culturali che abbiano in consegna, fatte salve le disposizioni in materia di diritto d’autore. Il successivo articolo 108 stabilisce poi le condizioni in base alle quali la riproduzione può essere concessa.

Infine, la legge sul diritto d’autore (Legge n. 633/1941) attribuisce il diritto di riproduzione dell’opera solamente al suo autore (ovvero a soggetto diverso a cui tale diritto sia stato ceduto) e prevede che, dopo la morte dell’autore, questo diritto patrimoniale passi agli eredi (ove esistenti), che possono esercitarlo per 70 anni.

Premesso questo inquadramento normativo, si può comprendere come la risposta di un legale, interpellato da chi chieda chiarimenti sulla possibilità di utilizzare immagini o video di beni culturali dello Stato, debba sempre essere approfondita, oltre che plasmata sul caso concreto.

Un’ordinanza del Tribunale di Firenze (26 ottobre 2017) può essere d’aiuto per “sbrogliare la matassa”.

Questa la vicenda presa in esame dal giudice di primo grado: il Ministero per i beni e le attività culturali contesta l’operato di una agenzia di viaggio straniera, che offre ai suoi clienti accessi ad alcuni musei italiani – tra i quali la Galleria dell’Accademia di Firenze – con visite guidate, a prezzi peraltro superiori a quelli praticati dalla biglietteria del Museo, e che consentono all’agenzia notevoli margini di guadagno. Nei mezzi pubblicitari utilizzati dall’agenzia – dépliant, sito internet – compaiono immagini della Galleria e del David di Michelangelo.

Il Ministero, invocando appunto l’art. 108 del Codice dei Beni Culturali, rileva che l’agenzia viaggi non ha mai chiesto (né ottenuto) alcuna concessione per la riproduzione per scopo di lucro delle immagini della Galleria e della celeberrima scultura, così che l’uso risulta illecito, integrando sia una forma di abuso dell’immagine altrui, sia un atto di concorrenza sleale.

Il tribunale accoglie la domanda del MiBACT, per la prima volta sancendo “il divieto di utilizzare e sfruttare a fini commerciali su tutto il territorio italiano e dell’Unione Europea l’immagine del David di Michelangelo” senza il preventivo permesso della Galleria dell’Accademia e senza pagamento dei diritti di riproduzione.

Viene nello specifico inibito all’agenzia viaggi di riprodurre a fini commerciali l’immagine del David di Michelangelo o di parti di esso, in qualunque forma e con qualunque strumento, anche informatico; viene inoltre ordinato il ritiro immediato dal commercio e la distruzione di tutto il materiale pubblicitario che ritrae l’immagine dell’opera, nonché l’immediata eliminazione di ogni riproduzione totale o parziale dell’immagine della scultura dal sito internet riconducibile alla società.

L’ordinanza del Tribunale viene inoltre pubblicata su tre quotidiani a diffusione nazionale e tre periodici a scelta del Ministero; all’agenzia viene infine imposto il pagamento delle spese di giudizio sostenute dal Ministero e il versamento di una penale per ogni giorno di eventuale ritardo nell’ottemperanza all’ordinanza.

Vi sembra che il Tribunale abbia indicato la strada per prevenire l’abuso delle immagini di opere d’ arte pubbliche? A noi il segnale è parso forte e chiaro!

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