Alla ricerca del Salvator Mundi perduto

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Ad acquistare il Salvator Mundi attribuito a Leonardo (e di fatto “perduto”: nessuno sa dove sia) è stato nel 2017 l’Abu Dhabi Department of Culture & Tourism. L’ente ha una grande responsabilità agli occhi del mondo: sarà disponibile a rendere accessibile agli studiosi l’opera – anche a rischio che se ne sconfessi l’originalità – e, ipotizzando che si tratti di un “vero” Leonardo, potrà assicurarne “l’utilità del Pubblico”, attirando “la curiosità dei forestieri”, come un illuminato sovrano rinascimentale?

Prologo: il Salvator Mundi è perduto?

A tre anni di distanza si era in parte sopito il clamore suscitato dalla vendita da parte di Christie’s il 15 novembre 2017 del Salvator Mundi attribuito alla mano di Leonardo da Vinci al prezzo di 450 milioni di dollari. Prima della vendita si sono diffuse tra il pubblico informazioni sulla più recente provenienza dell’opera, che sarebbe stata acquistata da un signore inglese, tale Sir Thomas Cook nel 1900 e rivenduta all’asta per 57 dollari a un commerciante di New Orleans nel 1958 e, successivamente, dagli eredi di questo in un’asta locale a due abili art dealers che l’acquistarono per meno di mille dollari nel 2005, per rivenderla, otto anni dopo ad ottanta milioni di dollari ad un altro mercante, Yves Bouvier, il quale la rivendette successivamente al miliardario russo Rybolovlev per 127,5 milioni.

L’incredibile aumento di valore commerciale dell’opera è in stretta correlazione con un sostanziale lavoro di restauro condotto dai nuovi proprietari tramite la nota restauratrice Diane Modestini e la successiva animata “battaglia tra esperti”, cioè tra gli studiosi che sostennero o negarono l’autografia dell’opera.

La valorizzazione economica del dipinto è stata sicuramente supportata dalla scelta da parte della National Gallery di Londra di includerlo nella mostra Leonardo da Vinci, Painter at the Court of Milan nel 2011, scelta da più voci criticata in quanto l’opera era all’epoca sul mercato. Subito dopo la vendita hanno iniziato a correre voci contrastanti su chi avesse acquistato l’opera. L’8 dicembre 2017 fu annunciato che l’opera sarebbe stata resa pubblicamente fruibile al Louvre Abu Dhabi a seguito del suo acquisto da parte dell’Abu Dhabi Department of Culture & Tourism (Dct) degli Emirati Arabi Uniti, mentre il giorno precedente
il Wall Street Journal aveva riferito che il dipinto era stato acquistato da un intermediario del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman. Nel giugno 2018, il Louvre Abu Dhabi annunciò pubblicamente che l’opera sarebbe stata esibita al pubblico il 18 settembre e sarebbe stato il “regalo al mondo” del museo, recentemente inaugurato.

La stampa riportò anche che il dipinto srebbe successivamente stato incluso nella mostra programmata per il cinquecentenario della morte di Leonardo in programma al Musée du Louvre a Parigi dal 24 ottobre 2019 al 24 febbraio 2020. Tuttavia, il Salvator Mundi non è mai (almeno fino ad ora) stato esibito al Louvre, né a quello di Parigi, né a quello di Abu Dhabi, né è stato esposto in alcun altro museo al mondo e nessuno sa con certezza dove si trovi e, soprattutto, a chi appartenga: al principe ereditario saudita? Allo Stato saudita? Al Dct degli Emirati? Oppure questi ultimi lo avrebbero avuto soltanto in prestito?

Un problema di trasparenza (Giuseppe Calabi)

La mancanza di trasparenza su chi sia l’attuale proprietario del Salvator Mundi e su dove si trovi ha un impatto rilevante sia sulla sua futura fruibilità pubblica, sia sul suo studio: a prescindere dalle passate discussioni sulla auto- grafia dell’opera che hanno preceduto la sua vendita, è evi- dente che se un dipinto non è accessibile, non può essere studiato dagli esperti. Con riferimento alla sua fruibilità pubblica, la circostanza che il proprietario possa essere un membro della famiglia reale saudita e non un’istituzione (lo Stato saudita ovvero quello degli emirati) è ovviamente un fatto che può incidere negativamente sulla pubblica fruizione.

Non posso esprimermi su un ordinamento giuridico che non conosco, ma ritengo plausibile che il proprietario saudita (indipendentemente dalla sua appartenenza alla famiglia reale) possa disporre del dipinto e custodirlo come e dove meglio ritenga e renderlo accessibile esclusivamente alla sua stretta (o larga) cerchia di amici. Se tuttavia si presta attenzione alla nostra storia, le collezioni private dei sovrani rinascimentali italiani si sono tramandate di generazione in generazione ed alcune volte sono state donate o legate allo Stato per decisione illuminata del proprietario o della proprietaria, come è avvenuto nel caso di Anna Maria Luisa Medici, che nel 1737 con il “Patto di Famiglia” volle lasciare le collezioni della sua famiglia alla città di Firenze, con il divieto di “levare fuori della Capitale e dello Stato del Gran- ducato, Gallerie, Quadri, Statue, Biblioteche, Gioje ed altre cose preziose, della successione del Serenissimo GranDuca, affinché esse rimanessero per ornamento dello Stato, per utilità del Pubblico e per attirare la curiosità dei Forestieri”.

L’ultima dei Medici, figlia di Cosimo III aveva inteso attribuire al Granducato di Toscana (oggi, la Repubblica Italiana) la proprietà di opere eccezionali, assicurandone la pubblica fruizione e di questa scelta traiamo anche noi immensi benefici, come ne trarranno le generazioni future: è noto infatti che la legge italiana considera le collezioni dei musei come beni demaniali inalienabili: non possono che appartenere allo Stato (articolo 822, comma 2 del codice civile), il quale ha il compito di tutelare e valorizzare il proprio patrimonio culturale (Articolo 1 del Codice di beni culturali). Il proprietario del Salvator Mundi ha una grande responsabilità agli occhi del mondo: sarà disponibile a rendere accessibile agli studiosi l’opera e, ipotizzando che si tratti di una “vero” Leonardo, potrà assicurarne “l’utilità del Pubblico”, attirando “la curiosità dei Forestieri”, come un illuminato sovrano rinascimentale?

Il contrasto fra arte e mercato (Sharon Hecker)

Il valore finanziario di un’opera d’arte oggi dipende dalla sua attribuzione “autografa”. Un’opera chiamata “scuola di” o “studio di” avrà prezzi molto inferiori rispetto ad un’opera descritta come di mano dell’artista. Un recente articolo di Scott Reyburn su The Art Newspaper mostra che quando si tratta di Old Masters, anche se l’ossessione del mercato di oggi di assegnare l’attribuzione ad un singolo artista è lucrativa, è fuorviante.

La ricerca dell’attribuzione ad un singolo artista è anacronistica rispetto alla prassi dell’epoca. Gli artisti rinascimentali avevano regolarmente delle botteghe e le loro opere possono essere il prodotto di molte mani. Ma il nostro attaccamento romantico all’idea dell’artista come eroico genio che lavora in modo solitario rende la realtà poco attraente. Il culto del mercato riferito all’artista individuale ed alla sua mano rende quasi impossibile per le case d’asta dire la verità sulle attribuzioni. Un’opera che viene dichiarata come una collaborazione viene immediatamente sminuita nel suo valore.

Come nota Reyburn, nel mercato “le voci dissenzienti non sono incoraggiate”. Questo porta ad un effetto di silenziamento della storia dell’arte. Che si chieda a uno storico dell’arte di produrre un’opinione sull’attribuzione di un’opera per una vendita oppure in una controversia legale, le parole degli esperti sono troppo facilmente prese fuori dal contesto e manipolate. Questo è il motivo per cui molti esperti importanti si astengono dal parlare al mercato. Questo vuoto troppo spesso è riempito da esperti non qualificati che operano come “mercenari”. Il Salvator Mundi nascosto è un classico esempio di ciò che accade quando la storia dell’arte e il mercato vanno in contrasto tra loro.

Uno studio recente suggerisce che solo il 5-20% del dipinto è di Leonardo, mentre il resto è di un assistente di studio, Bernardino Luini. A gennaio, The Art Newspaper ha riferito di un esame dettagliato dell’o- pera al Louvre nel 2018 da parte dei suoi curatori e conservatori, che suggerisce che le mani e le braccia, compreso il famoso globo trasparente, siano state aggiunte più tardi da un altro artista anonimo. La stessa conclusione è stata raggiunta da una seconda analisi tecnica, che verrà pubblicata a breve dalla rivista di Mit, Leonardo, con la conclusione che sotto le spalle l’opera è “strongly ‘not Leonardo’”.

Lo stimato studioso di Leonardo, Frank Zöllner, pensa che l’artista abbia iniziato il quadro, ma che poi abbia perso interesse nella commissione e sia stato quindi terminato da un allievo. Mi vengono in mente due soluzioni. Primo, dobbiamo ammettere che le collaborazioni sono esistite nel Rinascimento e dare valore alla nozione di collaborazione. Secondo, il mercato e la storia dell’arte devono collaborare meglio e trovare un terreno comune, pur rispettando le diverse competenze di ciascuno. Iniziare un dialogo tra questi due mondi prima di una vendita potrebbe aiutare ad evitare un alto livello di delusione dopo.

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