Trust: riflessioni sugli obblighi di monitoraggio

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Le leggi in materia di antiriciclaggio e di monitoraggio, applicate al trust, lasciano aperti molti dubbi. Sebbene il contesto normativo resti complesso, le prime interpretazioni fornite dall’Agenzia delle Entrate lasciano sperare in un approccio pratico e costruttivo da parte delle autorità

Da Cicerone a Terenzio ci giungono i noti brocardi “Summum ius, summa iniuria” e “Ius summum saepe summa est malitia” che ci invitano a ragionare con spirito critico e, soprattutto, a tener presente la ratio delle norme, senza la consapevolezza della quale è facile commettere errori o incorrere in malintesi. L’applicazione dei principi cardine del diritto non può che aiutare l’interprete, soprattutto quando si trova confrontato con costrutti giuridici, come il trust, che, pur riconosciuti e applicati, non sono frutto del proprio ordinamento. Il trust, come definito nella convenzione dell’Aia del 1985, è un “rapporto giuridico istituito nell’interesse di un beneficiario o per un fine determinato” e il trustee “è investito del potere e onerato dell’obbligo (…) di amministrare, gestire o disporre dei beni in conformità alle disposizioni del trust e secondo le norme imposte dalla legge al trustee”.

Su questi concetti si sviluppano molteplici strutture, ognuna con le proprie peculiarità: ci si può imbattere in trust revocabili o irrevocabili, fissi oppure discrezionali; in trust nei quali il disponente mantiene alcuni poteri oppure lascia piena discrezionalità al trustee. Inoltre, possono essere istituiti trust con trustee professionali o meno e trust che contemplano la figura del protector, con facoltà e poteri più o meno ampi.

In questo coacervo di possibilità può essere difficile orientarsi, soprattutto se l’interprete (sia esso il trustee, il consulente o il contribuente) è confrontato con obblighi derivanti da leggi con finalità molto diverse tra loro, ma che sono messe in stretta relazione, come la legge relativa all’antiriciclaggio e le norme fiscali sul monitoraggio.

La prima mira a identificare, valutare e scongiurare i rischi di riciclaggio e finanziamento al terrorismo insiti nell’esercizio delle attività finanziarie e professionali. Le seconde, invece, sono state invece elaborate per monitorare i trasferimenti di valuta da e per l’estero allo scopo di evitare che i capitali nazionali si sottraessero agli obblighi di imposizione tributaria.

Entrambe le discipline coinvolgono tutti i soggetti del trust, ma le loro differenti finalità impongono, nell’ambito di una stessa struttura, di trattare queste persone in modo diverso, attribuendo a ciascuno obblighi specifici.

Ai fini dell’antiriciclaggio  tutti i soggetti di un trust sono considerati come titolari effettivi, in quanto il loro coinvolgimento nella struttura determina e giustifica la loro individuazione da parte dei destinatari della norma, in ottemperanza all’approccio basato sul rischio.

Per le finalità di monitoraggio occorre, invece, individuare tra i vari soggetti identificati ai fini antiriciclaggio, quelli cui possono essere imputati eventuali redditi derivanti da investimenti all’estero e da attività estere di natura finanziaria, in modo da evitare potenziali sottrazioni d’imposta.

Non vi è, quindi, logicamente, una piena sovrapposizione tra titolari effettivi ai fini antiriciclaggio e titolari effettivi ai fini del monitoraggio, ma esiste uno scollamento che viene riconosciuto e confermato anche dall’Agenzia delle Entrate che, nella risoluzione n. 53/e del 29 maggio 2019, precisa che “occorre verificare la compatibilità della nuova nozione di titolare effettivo, proveniente dalla disciplina dell’antiriciclaggio, con la finalità delle norme sul monitoraggio fiscale” e aggiunge che ai fini del monitoraggio “deve sussistere una relazione giuridica (intestazione) o di fatto (possesso o detenzione) tra il soggetto e le attività estere oggetto di dichiarazione (cfr. circ. 10/E del 14 maggio 2014, par. 13.2)”.

Ebbene questa risoluzione, applicata ai trust, invita e autorizza a ragionare in modo critico, in base alle circostanze concrete e alle caratteristiche di ogni struttura.
Così, ad esempio, nel caso di un grantor trust, di trust auto-dichiarati o di trust dove il disponente ha mantenuto dei poteri, pare corretto individuare in quest’ultimo il soggetto tenuto al monitoraggio, perché in questi casi la relazione tra il disponete e le attività estere non si è completamente interrotta. Allo stesso modo è compatibile con la ratio della norma imporre obblighi di monitoraggio in capo ai beneficiari di un trust fisso, titolari di diritti quesiti sui beni e/o sui redditi di un trust.
Al contrario, nel caso di trust irrevocabili e discrezionali, il disponente non può ritenersi vincolato a tale adempimento perché nel suo caso la “relazione giuridica o di fatto” con i beni in trust è cessata.
Tantomeno possono essere obbligati al monitoraggio i beneficiari discrezionali del trust e questo a prescindere dal fatto, del tutto irrilevante, che siano menzionati nominativamente o per categoria. Questi ultimi, infatti, almeno fino a quando il trustee non effettuerà un atto di attribuzione in loro favore, godono solo di aspettative sui beni in trust, non sono né intestatari né detentori di tali beni e quindi non possono essere destinatari di obblighi tributari in relazione al patrimonio in trust.
Non c’è dunque ragione per cui debbano conoscere l’esistenza del trust e il valore dei suoi fondi, né riportare tali dati nella propria dichiarazione fiscale. Da non dimenticare, inoltre, che il trustee, nel rispetto dei documenti di trust e delle prescrizioni della legge regolatrice, può non essere autorizzato a rivelare l’esistenza del trust e la sua consistenza a un beneficiario, pena la violazione dei propri obblighi e l’esposizione a azioni di responsabilità.

Nel caso dei beneficiari discrezionali quindi, se da un lato il trustee deve individuarli e determinarli, appena in vita, ai fini antiriciclaggio, in quanto la struttura è creata nel loro interesse, dall’altro non può essere imposto a questi ultimi di ottemperare ad obblighi dichiarativi su beni che potrebbero non essere loro mai attribuiti.
Quanto al protector, quest’ultimo analogamente a quanto previsto per il trustee dalla circolare n. 38/E del 2013 dell’Agenzia delle Entrate, dovrebbe essere escluso dall’obbligo di monitoraggio fiscale in quanto i beni segregati nel trust non sono detenuti né amministrati nel suo interesse e rispetto a questi non manifesta alcuna capacità contributiva. Una recentissima conferma in questo senso è contenuta nella risposta all’interpello n. 506 pubblicata dall’agenzia Entrate il 30.10.2020.

Barbara Demergazzi

Gli articoli pubblicati sono stati realizzati da giornalisti e contributors di We Wealth e vengono forniti a Poste Premium a scopo informativo.


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