I tre temi chiave per il 4° trimestre (e oltre) secondo Fidelity

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L’inflazione sta rallentando, ma il lavoro delle banche centrali non è ancora finito. Le decisioni che si prenderanno nei prossimi tre mesi determineranno il 2024, ma quali sono i temi a cui prestare particolare attenzione? Vediamoli con Fidelity International

Con l’inizio di ottobre, siamo ufficialmente entrati nell’ultimo trimestre del 2023 ed è già il momento di costruire le basi per il prossimo anno. L’inasprimento monetario portato avanti con decisione dalle banche centrali sta finalmente abbassando in modo consistente l’inflazione sia negli Stati Uniti che nell’Eurozona, senza causare, almeno per ora, danni irreparabili per l’economia. Ma il lavoro non è ancora finito e la prospettiva di “tassi più alti più a lungo” rende lo scenario alquanto sfidante.

Andrew McCaffery, CIO di Fidelity International, ha concentrato l’attenzione su tre temi che determineranno la strada che i mercati si troveranno a percorrere verso il 2024.


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1. Segnali divergenti

Uno dei dati più positivi del terzo trimestre del 2023 è quello sull’inflazione che continua a scendere con costanza, basti pensare che nell’eurozona è arrivata a settembre al 4,3%, minimi che non si vedevano da ottobre 2021. Eppure non si possono ignorare i possibili effetti sull’economia reale, soprattutto guardando verso l’eurozona: questa potrebbe infatti deteriorarsi ben più rapidamente di quanto la Bce si aspetti, non potendo giovarsi del boost dato dai consumi da record che caratterizza gli Stati Uniti.

Solitamente gli effetti che le politiche monetarie hanno sull’economia reale non sono immediati, ma devono passare fino a 18 mesi prima che diventi chiaro l’effetto. “Molte aziende, ad esempio, stanno guadagnando interessi sui loro depositi ma (avendo concordato termini pluriennali) non stanno ancora pagando di più per il debito che hanno accumulato a tassi bassissimi durante la pandemia”, spiega l’esperto. In definitiva, Fidelity International ritiene che il meccanismo di trasmissione venga ritardato anziché interrotto, e che la situazione potrebbe invertirsi rapidamente, soprattutto quando le aziende inizieranno a rifinanziare il proprio debito il prossimo anno.

In aggiunta, il problema dell’inflazione appare ancora non risolto e le persistenti pressioni sulla catena di approvvigionamento potrebbe comportare un moderato aumento dei prezzi nei prossimi sei mesi.

2. Tassi alti più a lungo

Le banche centrali sembrano aver imparato dagli errori di due anni fa, quando si sottovalutò l’arrivo dell’ondata inflattiva. Sottostimare la pressione inflazionistica si è rivelato un errore da cui è molto difficile tornare indietro: se l’inflazione non viene riportata sotto il target, allora il rischio di una seconda ondata è dietro l’angolo. Proprio per questo le banche centrali hanno reso chiaro che, questa volta, i tassi rimarranno alti più a lungo.

Tuttavia, se mantenere i tassi alti promette di abbassare l’inflazione, “molti dei nostri analisti prevedono un aumento del 15/25% delle spese per interessi per le società da loro coperte”, sottolinea l’esperto. In una situazione simile è quindi molto difficile avere certezze, ma il rischio di una recessione è ben lontano dall’essere stato sorpassato: c’è il 60% di possibilità di cadere in una recessione ciclica nei prossimi 12 mesi.

3. Cina: un’opportunità nell’incertezza?

A fine 2022 si pensava che questo sarebbe stato l’anno della Cina, che dopo una serie di limitazioni e chiusure a causa della pandemia, sarebbe finalmente riuscita a ergersi nuovamente nel mercato. La realtà però è stata molto lontana da queste previsioni. Uno dei principali ostacoli che il Dragone è stato costretto ad affrontare è l’assenza di fiducia da parte dei consumatori. Infatti, se in altre regioni del mondo, come gli Stati Uniti, la riapertura ha spinto verso l’alto i consumi, i consumatori cinesi hanno preferito rimanere in disparte e investire sui propri risparmi. Il secondo ostacolo è da cercarsi nel sentiment dei settori chiave e, su tutti, spicca quello immobiliare. McCaffery spiega che è infatti “improbabile che i consumatori cinesi spendano mentre gran parte della loro ricchezza è bloccata in un mercato immobiliare in declino”.

Per un cambio di marcia è fondamentale che il governo di Pechino scenda in campo. Per ora ha cercato di togliere alcuni ostacoli che limitavano l’acquisto di case o l’accesso ai mutui, ma la strada è ancora lunga e in salita.

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