Tfr: quello che devi sapere per trasformarlo in un investimento

Il lavoratore dipendente del settore privato ha la possibilità di scegliere se lasciare il Tfr maturando in azienda o destinarlo ad un fondo pensione

La scelta di destinare il Tfr alla previdenza complementare incide sul rendimento finanziario potenzialmente ricavabile dalla somma accantonata

Versare il proprio Tfr in un fondo pensione consente, a certe condizioni, di godere di maggiori benefici e vantaggi, tanto dal punto di vista fiscale quanto dal punto di vista dei rendimenti

Come noto il trattamento di fine rapporto (Tfr) consiste in una componente della retribuzione accantonata dal datore di lavoro che il dipendente matura nel corso del rapporto di lavoro e viene liquidata in suo favore alla cessazione dello stesso.
Il lavoratore che abbia svolto almeno 8 anni di servizio presso lo stesso datore avrà il diritto di richiedere un’anticipazione del Tfr per un importo non superiore al 70% del trattamento maturato alla data della richiesta.

L’anticipazione verrà accordata se la richiesta risulterà subordinata alla necessità di sostenere spese sanitarie o acquistare la prima abitazione.

Il lavoratore dipendente del settore privato, inoltre, a partire dal 2007 (in forza del Decreto Legislativo 252/2005) ha la possibilità di scegliere – manifestando in modo tacito o esplicito la propria volontà – se lasciare il Tfr maturando sotto forma di liquidazione in azienda o se destinarlo alla previdenza complementare; dunque, versandolo ad un fondo pensione.

Più nel dettaglio, il dipendente ha sei mesi di tempo, a partire dall’assunzione, per scegliere come destinare il Tfr, fermo restando che avrà sempre la possibilità – in qualsiasi momento – per tornare sui suoi passi e decidere di cambiare opzione.

Se il lavoratore opterà per destinare il Tfr a un fondo pensione, otterrà la somma destinata al momento del pensionamento sotto forma di pensione integrativa; se il lavoratore sceglierà di lasciare il Tfr in azienda, riceverà la liquidazione della somma al termine del rapporto di lavoro.

Ebbene, proprio su questo ultimo aspetto, relativo alla possibilità di scegliere se lasciare il trattamento di fine rapporto in azienda o destinarlo ad un fondo pensione, occorre soffermare l’attenzione.

Infatti, la scelta operata dal datore di lavoro inciderà sul trattamento fiscale della somma accantonata e sul potenziale rendimento finanziario ricavabile dal Tfr.

A tutta prima, è bene specificare che la destinazione del Tfr ad un fondo pensione si differenzia a seconda che questa venga resa esplicitamente, o meno. Vi è adesione esplicita se si decide di destinare il Tfr alla previdenza complementare entro i primi sei mesi dall’assunzione. Vi è, invece, adesione tacita, se – nel caso di azienda con più di 50 dipendenti – il dipendente passati i sei mesi non esprime una preferenza.

Quanto all’aspetto fiscale, le due ipotesi (Tfr in azienda o in fondo pensione) danno vita ad un diverso trattamento: se il Tfr è lasciato in azienda, questo sconterà una tassazione minima del 23%, solo a seguito della liquidazione dello stesso a favore del lavoratore alla chiusura del rapporto di lavoro; se il Tfr è destinato ad un fondo pensione, questo verrà tassato al momento della sua erogazione, in forma di rendita pensionistica in funzione degli anni di iscrizione alla previdenza complementare integrativa.

La tassazione potrà variare: le prestazioni finali erogate dal fondo pensione saranno tassate con un’aliquota del 15% che, via via, si ridurrà dello 0,30% per ogni anno di adesione al fondo, fino ad arrivare, oltre il quindicesimo anno di partecipazione, alla soglia minima del 9%.

In quest’ultimo caso, pertanto, la scelta di destinare il Tfr a un fondo pensione porta almeno a un doppio beneficio: consistente, da un lato, nella percentuale di reddito aggiuntivo ottenibile al momento dell’erogazione della prestazione pensionistica; dall’altro, nella minore tassazione cui è soggetto il Tfr destinato alla previdenza complementare.

Quanto al rendimento, la somma destinata ad un fondo pensione si rivaluta in base ai risultati della gestione finanziaria in cui si è scelto di investire i propri versamenti; la somma lasciata in azienda è rivalutata a un tasso del 1,5% fisso + il 75% dell’inflazione annua.

Destinare il Tfr ad un fondo pensione, inoltre, permette di diversificare i rischi in caso di fallimento del datore di lavoro. Il dipendente che ha lasciato il Tfr in azienda al momento del fallimento diviene creditore privilegiato dell’azienda, ma per ottenere il dovuto dovrà aspettare la chiusura del procedimento fallimentare. Il dipendente che invece ha destinato il Tfr a un fondo pensione, avendo allontanato la somma dall’azienda poi fallita, potrà accedere subito al montante accumulato.

Un ultimo aspetto da tenere a mente concerne l’ipotesi di ottenere un anticipo delle somme accantonate. Nel caso di somma lasciata in azienda, il dipendente dovrà formulare apposita richiesta al datore di lavoro. Quando il Tfr maturando è destinato al fondo pensione, il lavoratore potrà ottenere fino al 30% di quanto accantonato senza dover produrre motivazione.

Gli articoli pubblicati sono stati realizzati da giornalisti e contributors di We Wealth e vengono forniti a Poste Premium a scopo informativo.


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