Investimenti: per BNY Mellon IM il 2024 sarà un “ritorno al futuro”

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In occasione della conferenza annuale organizzata da BNY Mellon IM per il mercato italiano, abbiamo intervistato Sasha Evers, Head of Europe ex UK del gruppo globale di gestione degli investimenti, per tracciare un bilancio dell’anno che va chiudendosi e guardare alle opportunità del prossimo

Inflazione persistente accompagnata da tassi alti e un mondo sempre più diviso in blocchi, con importanti tensioni geopolitiche, a partire da quelle in Medioriente. Quella che sembrerebbe essere una fotografia degli anni ’70 è invece la “new normality” che ha caratterizzato il 2023 e che continuerà a farlo nei prossimi anni. Un nuovo contesto che, nonostante le difficoltà, può riservare importanti opportunità per gli investitori più attenti, grazie ai grandi temi dell’intelligenza artificiale, della deglobalizzazione e della sostenibilità. Ne abbiamo parlato con Sasha Evers, Head of Europe ex UK di BNY Mellon Investment Management, a margine dell’annuale conferenza organizzata dalla banca newyorchese per il mercato italiano.

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Il 2023 volge al termine. Che tendenze avete osservato nei flussi di investimento. Quali strategie hanno avuto più successo?

“Il 2023 si è confermato essere un anno interessante per il segmento obbligazionario, per il comparto multi asset e per gli asset alternativi. Per quanto riguarda i fondi dedicati al reddito fisso, i dati ci dicono che le strategie che hanno avuto più successo dal punto di vista commerciale in Europa Meridionale e in particolare in Italia, sono state quelle altamente liquide, quelle che incorporavano titoli di elevata qualità, e quelle yield to maturity, in cui gli investitori ottengono un’esposizione a un paniere di obbligazioni che detengono sino alla scadenza. Anche gli investimenti diretti in obbligazioni governative sono stati particolarmente popolari con gli investitori in Paesi come la Spagna e l’Italia, dove c’è una lunga tradizione di investimenti nei mercati obbligazionari domestici.
Quanto all’equity, a catturare l’attenzione degli investitori sono state le strategie quality growth globali
. Pensiamo che buona parte del loro successo sia dipesa dal fatto che questo genere di approccio permette da un lato di diversificare geograficamente, e dall’altro di posizionarsi su titoli ritenuti più sicuri perché tipicamente presentano livelli di debito più bassi e forti posizioni competitive nei rispettivi settori. Ciononostante, abbiamo osservato una fuoriuscita di capitali verso soluzione più tattiche come gli Etf. Infine, le strategie multiasset. I fondi di questo comparto sono stati recentemente sotto pressione, soprattutto sulla scia di anni come il 2022 quando sia le azioni sia le obbligazioni (le due componenti principali dei multi-asset) hanno sofferto di cali simultanei delle valutazioni. A nostro avviso l’outlook per i fondi multi-asset è oggi piuttosto positivo grazie ai rendimenti più elevati delle obbligazioni e alle opportunità nell’azionario, soprattutto nelle regioni dove si trovano le valutazioni più basse come l’Asia e l’Europa”.

Che cosa vi aspettate invece per il 2024? Le stesse strategie rimarranno valide oppure occorrerà cambiarle alla luce del nuovo mantra “tassi più alti più a lungo”?

“La flessibilità con cui i nostri gestori modulano le strategie nel tempo è legata innanzitutto ai mandati di cui essi sono investiti e da cui dipende la loro tolleranza al rischio. A ciò si aggiunge poi la componente tattica presente in ciascuna di esse. Generalmente tendiamo ad avere un approccio “micro” ai titoli che selezioniamo, basandoci sulle convinzioni dei nostri gestori piuttosto che sul rumore generato da quanto accade sui mercati. È tuttavia innegabile che la volatilità porti con sé un disallineamento dei prezzi degli asset: questo, a sua volta, significa opportunità di acquisto o di vendita. Ad ogni modo, sono i manager portafoglio a dover capire quali titoli siano overbought o oversold, e riponiamo totale fiducia nella loro gestione”.

Anche nel 2023 a dividere Usa e Europa non è stato solo l’Atlantico. Quali differenze e quali analogie riscontrate tra l’approccio agli investimenti in Nordamerica e nel Vecchio continente?

“Sia Europa che Stati Uniti sono sede dei principali asset manager globali, che competono tra loro con differenti approcci e filosofie d’investimento. Dal punto di vista della distribuzione, l’Europa continentale è guidata in gran parte dai gruppi bancari, mentre negli USA e in UK sono broker e consulenti finanziari indipendenti a giocare il ruolo più importante nella distribuzione. Oltre alla struttura dei network di distribuzione, sono anche i differenti regimi fiscali a influenzare la domanda per specifici prodotti o strategie. Ad esempio, negli Stati Uniti gli Etf godono di un vantaggio fiscale rispetto ai fondi comuni d’investimento, cosa che invece in linea generale non accade in Europa continentale”.

Quanto l’effetto Btp sta condizionando le scelte degli investitori italiani? Il ritorno dei rendimenti comporta la necessità di un ribilanciamento dei portafogli a medio-lungo termine?

“BNY è in Italia da oltre 80 anni, e da più di 20 con la divisione di investment management. Non è la prima volta a cui assistiamo a un momento di domanda elevata per i Titoli di Stato italiani. È bene però ricordare che esponendosi solamente sulle obbligazioni governative di un singolo Paese si assume anche un’esposizione concentrata al loro rischio sovrano. Sebbene non prevediamo che gli spread sui Btp possano esplodere come accaduto nei primi anni 2010 durante la crisi dell’Eurozona, ci aspettiamo comunque una certa volatilità. Investire, ad esempio, in un fondo di obbligazioni governative globali, consente di esporsi con una selezione più ampia di bond governativi di qualità come quello italiano. In questo modo è possibile posizionarsi su diversi mercati e godere di fonti di rendimento diverse, ridurre la volatilità e aumentare le opportunità di vendere o acquistare titoli diversi a seconda dell’andamento generale del fondo, traendo valore dalle misvaluation, cosa impossibile in un singolo titolo.
Non bisogna dimenticare, infine, la distinzione tra risparmiatori e investitori. I primi prediligono strumenti più liquidi, mentre i secondi adottano un approccio di più lungo respiro: in una situazione di elevata inflazione ciò che conta è il rendimento reale. Uno dei modi migliori per proteggersi contro l’inflazione di lungo periodo è investire in azioni. Storicamente, l’azionario ha tipicamente dimostrato di fungere da copertura efficace contro l’inflazione. In un contesto inflattivo, le aziende più solide riecono tipicamente a scaricare l’impatto del rialzo dei costi sui consumatori.

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