L’arte accessibile: il digitale proteggerà il patrimonio più prezioso d’Italia?

Dagli archivi ai beni artistici, la sfida della conservazione del patrimonio culturale italiano passerà attraverso la digitalizzazione. Largo quindi a tecnologie innovative per il restauro e la logistica, oltre che a Nft e blockchain

Tra le più importanti azioni promosse dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) in ambito culturale vi è il piano di digitalizzazione dei beni culturali, a cui è stato allocato uno stanziamento di 550 milioni di euro, cifra molto significativa, in particolare se comparata alle scarse risorse tradizionalmente dedicate alla cultura.
Su questo tema è stata organizzata da Open Care e Valore Italia la conferenza Digital Heritage il 19 aprile 2022 a Venezia, alla Fondazione Giorgio Cini, durante l’evento Homo Faber. Crafting a more human future

Tra gli operatori si registra una grande fibrillazione e così tra le istituzioni: si auspica infatti che la digitalizzazione consenta di ampliare il bacino di utenza di archivi e musei e di raggiungere nuovi pubblici

Quali beni saranno oggetto di digitalizzazione? Il nostro patrimonio artistico è costituito da beni molto differenziati. Per la fruizione degli archivi storici la digitalizzazione risponde all’esigenza di trasferire su supporti più accessibili e meno fragili quanto resta spesso inaccessibile per esigenze conservative e difficoltà di consultazione. La digitalizzazione potrebbe consentire quindi di conservare e insieme valorizzare gli archivi stessi, rendendoli disponibili agli studiosi e al pubblico. Per i beni artistici, per loro natura molto più diversificati, la digitalizzazione ha una funzione più mediata, in quanto la smaterializzazione fa perdere l’essenziale esperienza del confronto con la fisicità e matericità dell’oggetto e con la dimensione del contesto, molto rilevante per la fruizione estetica e culturale del bene. Per questo tipo di oggetti sarà importante capire quali sono gli obiettivi perseguiti e i destinatari, perché saranno questi a determinare le modalità di acquisizione digitale del bene, che sia un dipinto, monumento, palazzo storico o sito archeologico. 

L’obiettivo di 75 milioni di oggetti digitalizzati previsto dal Pnrr non sarà però un traguardo facile da raggiungere. Questo presuppone infatti che gli specialisti esterni siano guidati e affiancati da molteplici figure interne per la programmazione e gestione strategica e operativa delle azioni di digitalizzazione, risorse cronicamente insufficienti nel settore pubblico. Una volta raggiunto questo ambizioso risultato, sarà necessario distribuire, conservare e aggiornare questi dati digitali nel contesto di una infrastruttura nazionale ancora disorganica e frammentata visti i molteplici gestori dei beni culturali (enti centrali afferenti al Ministero della Cultura, amministrazioni locali, enti privati). 

L’aggiornamento tecnologico 

Anche nel settore dei beni culturali e nel mercato dell’arte, la rincorsa all’aggiornamento tecnologico sta conoscendo una forte accelerazione, di cui gli Nft e le lusinghe del metaverso rappresentano solo la punta dell’iceberg. Un pullulare di iniziative e aziende sta testando e proponendo al mercato dispositivi, tecnologie, processi volti a fare la differenza o almeno a prefigurarla. Premi, portali, convegni sono oggi dedicati alle tecnologie per l’arte, in queste il digitale assume un ruolo centrale per la sua potenzialità di acquisire, gestire e distribuire dati, nonché spettacolarizzare contenuti e consentire l’interazione con il pubblico. 

Studi e soluzioni sperimentate nell’ambito della diagnostica medica, della logistica avanzata, dell’intelligenza artificiale vengono applicati alle esigenze di gestione delle opere e collezioni grazie al supporto di finanziamenti pubblici destinati all’innovazione tecnologica e alle start up e a investimenti privati, non di rado alimentati da collezionisti e appassionati. 

Rendere più trasparente il mercato da una parte e più efficiente la gestione e conservazione dei beni culturali dall’altra sono gli obiettivi in varia forma perseguiti. Queste soluzioni si scontrano però con le problematiche specifiche, le prassi in uso, i vincoli procedurali di un sistema poco agile, e si inquadrano in un sistema nel suo complesso inefficiente. Se le esigenze sono evidenti, resta l’interrogativo sulle concrete applicazioni di queste proposte, rivolte a un mercato ancora immaturo, in particolare in Italia. Senza lo sviluppo della domanda, molti di questi innovativi servizi rischiano dunque di non uscire mai dalla fase di test sperimentale. 

I software e il ciclo di gestione e valorizzazione delle opere d’arte 

Un balzo in avanti molto significativo è stato certamente realizzato con la messa a punto di nuovi software per l’archiviazione digitale, molto più flessibili e performanti dei software di prima generazione, in quanto in grado di dialogare con gestionali interni e con contenuti esterni, di prevedere vari livelli di privacy e di accesso, di integrare e classificare automaticamente contenuti digitali acquisiti con dispositivi esterni (scanner, macchine fotografiche digitali). Sono allo studio tecnologie progettate, ad esempio, per il riconoscimento automatico e la classificazione di reperti archeologici, spesso costituiti da minuscoli frammenti che devono essere catalogati singolarmente. Nell’ambito degli archivi, sono disponibili sistemi integrati con dispositivi in grado di acquisire e inserire in piattaforma oggetti e documenti dei più diversi formati, potendo fare dialogare l’archivio, il sito e le piattaforme per l’e-commerce. Rispondere alle esigenze di catalogazione e archiviazione a fini interni non è però la sola potenzialità. Il digitale può infatti costituire un potente ausilio per efficientare il flusso di informazioni e di documenti scambiati per la gestione dei patrimoni artistici, premessa per la loro tutela e valorizzazione. 

Semplificare l’interazione tra gli attori a vario titolo coinvolti, in caso di movimentazione, trasporto, restauro, gestione dei depositi, disaster recovery, valutazione e nelle procedure autorizzative o di controllo e quindi le relazioni tra soprintendenze, forze dell’ordine, registrar, conservatori, restauratori, trasportatori, assicuratori, potrebbe contribuire a rendere più efficienti e trasparenti tutti i processi. 

Anche in questo settore, la blockchain viene infatti proposta da vari operatori come ausilio alla gestione ordinata e certificata della documentazione che accompagna l’opera e ne attesta la provenienza, autenticità o probabile attribuzione. Si cerca di rispondere così a un’esigenza sempre più sentita da un mercato alla ricerca di certezze. Una corretta introduzione della blockchain potrebbe costituire un ausilio anche alla lotta contro la contraffazione e la circolazione illegale dei beni culturali. Come collegare inequivocabilmente la documentazione con l’opera fisica, resta però una sfida ancora aperta. In mancanza di linee guida e format condivisi sulle procedure e la documentazione da certificare, il meccanismo rischia inoltre di restare totalmente autoreferenziale. 

Analisi e riconoscimento dell’opera 

In ambito di conservazione e restauro sono numerose le applicazioni allo studio o già implementate. Acquisire dati sulle caratteristiche materiche e lo stato di conservazione per un’analisi del bene a fini conservativi e di manutenzione preventiva è reso possibile da scansioni, fotogrammetria o foto ad alta risoluzione. Tali informazioni possono essere archiviate e conservate e utilizzate anche in caso di danni da trasporto ed essere di ausilio per identificare e riconoscere il bene in caso di verifiche e confronti ai fini di autentica e di lotta alla contraffazione, trattandosi di dati incontrovertibili. 

Le sfide dell’intelligenza artificiale 

Ma è all’intelligenza artificiale a cui qualcuno affida la vera rivoluzione: quella in grado di disintermediare il processo di attribuzione di autenticità e valore delle opere d’arte, rifondando il sistema dalle basi. Ridimensionare, se non azzerare completamente, la discrezionalità degli esperti, valutando automaticamente i beni per produrre verdetti certi e a basso costo è la promessa. Una soluzione ricercata in particolare dal settore finanziario, che vorrebbe trasformare l’arte in un investimento asettico e a prova di rating. Anche questa si scontra per il momento e forse per fortuna con i gap e la scarsa attendibilità delle banche dati e con la difficoltà di individuare e quindi processare le molteplici variabili fisiche e culturali che rendono questi oggetti spesso unici o comunque non intercambiabili. 

Potranno i nuovi investimenti previsti dal Pnrr contribuire a dare risposte a esigenze reali e concretezza ad opportunità latenti o alimenteranno nuovi progetti che resteranno solo virtuali? Una domanda ancora aperta. 



Elisabetta Galasso, Amministratore delegato Open Care – Servizi per l’arte

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