Quando si parla di investimenti Esg (ossia in tematiche ambientali, sociale e di governance), capita spesso che la prima componente dell’acronimo sottragga attenzione alle sue sorelle. A risentirne è soprattutto il fattore ‘S’, complice un impianto normativo che evolve più lentamente rispetto al progresso della società. Nonostante tutto, i dati dimostrano che puntare sulle aziende che con le proprie azioni si impegnano a migliorare la società fa bene sia alla collettività che alle tasche degli investitori. È questa l’opinione di Obe Ejikeme, gestore del fondo Carmignac Human Xperience. intervenuto nel corso dell’evento “Fattore ‘S’ e le nuove leve Esg: il wealth management è pronto?” organizzato da We Wealth lo scorso 30 settembre.
Variabile sociale: quanto rileva davvero finanziariamente
Per avere una prima idea del valore della ‘S’ si deve innanzitutto guardare a due tra i principali stakeholder di un’azienda: da un lato chi lavora per essa, ossia i dipendenti e, dall’altro, coloro per i quali la società svolge la propria attività, vale a dire i clienti. Un aiuto nell’analisi viene fornito dai dati: “ognuno di noi – spiega Ejikeme – trascorre mediamente 90 mila ore a lavorare durante la propria vita e negli Usa 2/3 del Pil derivano dai consumi delle persone. La relazione tra dipendenti, impresa e clienti è fondamentale. Uno studio della London Business School condotto sulle 100 migliori imprese per redditività ha evidenziato come quelle con il maggior commitment sulle tematiche sociali siano anche state quelle con le performance finanziarie migliori”. Tali esempi mostrano quanto rilevante sia il fattore ‘S’: per questo, spiega il gestore, è importante e vantaggioso investire nelle aziende che hanno a cuore dipendenti e clienti ed è per queste ragioni che “cerchiamo di individuare le imprese che più si impegnano su questo fronte ed escludiamo invece i settori in cui ciò non avviene, come quello del banking, delle utilities e delle telecomunicazioni”.
Per il verso opposto, ignorare il fattore ‘S’ può rivelarsi economicamente costoso per l’azienda. Il gestore di Carmignac sottolinea infatti come vi siano diverse ragioni per le quali le imprese dovrebbero avere a cuore il benessere dei propri stakeholders. Ad esempio, ”quando un dipendente lascia l’azienda per via di condizioni di lavoro negative, essa sostiene costi spesso elevati per rimpiazzarlo, come evidenziato dal Center for American progress”. Ma non è tutto. “Possono esservi seri danni a livello di reputazione per l’impresa. A differenza del passato, oggi esistono infatti i social media: se c’è un prodotto difettoso o una scarsa interazione coi dipendenti, sia che si tratti di recensioni su Amazon, Trustdoor o Glasspilot, vi sono diversi modi per danneggiare la reputazione delle aziende. È anche alla luce di ciò che queste ultime devono tenere particolarmente a cuore il fattore sociale”.
Guarda l’intervento di Obe Ejikeme
In assenza di regole precise, sono le imprese a dover dare l’esempio
“L’evoluzione del quadro normativo – aggiunge Ejikeme – condizionerà in futuro gli investimenti Esg che insistono sui temi nel fattore ‘S’. Col tempo si assisterà a un cambiamento a livello normativo e vedremo come i Paesi performeranno sotto questo punto di vista. Ma la filosofia di Carmignac è che non è possibile attendere l’azione dei governi, soprattutto se si considera che già da tempo vi sono imprese che danno il buon esempio. Ci sono grandi aziende che da anni sono pienamente trasparenti sulle tematiche di equità di genere nei consigli d’amministrazione e di uguaglianza nel trattamento salariale. Attraverso le nostre scelte, noi asset manager anticipiamo l’azione dei governi e costringiamo i board a dotarsi di regole più efficaci per la promozione delle tematiche sociali. Questa strategia rappresenta un metodo molto più rapido rispetto all’attesa che le normative si adeguino alle condotte del mercato”.