Gli elevati livelli di inflazione stanno mettendo in difficoltà imprese e famiglie. I dati di novembre dell’inflazione statunitense hanno però evidenziato un rallentamento del ritmo di crescita dei prezzi, anche se gli effetti sulla domanda della corsa dei prezzi potrebbe continuare a farsi sentire nei prossimi mesi.
Cosa possiamo aspettarci quindi dal 2023? Per rispondere a questa domanda 150 analisti di Fidelity nel settore azionario, del reddito fisso e del credito privato hanno recentemente condotto un sondaggio su scala globale e le risposte non sembrano particolarmente ottimiste.
Pressioni sui prezzi in rallentamento
Nonostante la pressione sui prezzi si stia ritirando, rimane ancora molto elevata e, secondo lo studio di Fidelity, a livello globale, quasi il 70% degli esperti ritiene ancora che il costo del lavoro delle aziende da loro coperte aumenterà nei prossimi sei mesi anziché diminuire. Gli analisti ritengono comunque che il ritmo di tale aumento stia rallentando e questo è ancora più vero nel caso dei costi non legati al lavoro.
Certo è che i dirigenti d’azienda, in tutti i dieci settori considerati da Fidelity, mantengono una prospettiva pessimista per il futuro prossimo. Mentre nei mesi precedenti c’erano ancora livelli di positività, gli analisti di tutti e 10 i settori presi in considerazione affermano che i dirigenti delle loro aziende vedono ora le prospettive in modo estremamente negativo.
Il caso del carburante e dell’energia
Il costo del carburante e quello dell’elettricità sono stati, e purtroppo rimangono, due i tasti dolenti di questa crisi. In Italia, durante il secondo trimestre del 2022, il prezzo medio della benzina si è attestato intorno a 1,884 euro per litro, con anche dei picchi superiori ai due euro, rispetto al 1,593 dello stesso periodo dell’anno precedente, secondo il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica. E, ad agosto, il prezzo dell’elettricità ha sfondato la soglia degli 0,543 €/kWh, rispetto agli 0,112 €/kWh dello stesso periodo durante l’anno precedente.
James Trafford, analista e gestore di Fidelity, sostiene che il punto più dolente per le industrie ad alta intensità energetica, come la raffinazione o il petrolchimico, è stato proprio il costo del carburante e dell’elettricità. La maggior parte degli operatori del settore petrolifero sta lavorando su un’ipotesi di 80 dollari di Brent per il 2023, il che implica una deflazione del prezzo del petrolio rispetto allo scorso anno. “Le aziende del settore energetico prevedono una riduzione dei margini di raffinazione e degli spread petrolchimici nel 2023, per cui questa deflazione dovrebbe ripercuotersi anche su una serie di prodotti finali, dalla benzina, al gasolio, al carburante per aerei, alla plastica, alla gomma e ad altri materiali”, argomenta James Trafford. Se i costi dell’elettricità e del carburante invertissero il loro andamento nel 2023, si dovrebbe sollevare molta pressione dall’inflazione, iniziando così a vedere miglioramenti più forti.
Il futuro dell’inflazione
Ragionare su scala globale risulta essere molto complicato, infatti l’economia statunitense continua a reggere meglio della sua controparte europea. E questo è chiaro anche dal sondaggio fatto da Fidelity: se il sentiment dei dirigenti delle aziende europee ha continuato a peggiorare, considerando che il 90% di loro prevede un aumento del costo del lavoro, quello dei settori nordamericani, pur rimanendo in territorio negativo, si è stabilizzato.
Ci sono, senza dubbio, alcuni segnali di speranza, tuttavia le banche centrali e i governi stanno ancora giocando una partita economica fondamentale e profondamente difficile: “I venti contrari alla valuta e l’inflazione salariale potrebbero continuare a sostenere l’inflazione anche nel 2023”, conclude un altro analista di Fidelity, Serhat Birbilen.