Dopo un 2023 caratterizzatosi per un rallentamento dell’economia globale e per la confermata desincronizzazione delle dinamiche regionali, il 2024 sarà un anno di stabilizzazione, che vedrà finalmente un avvio di ripresa internazionale nella sua parte finale. Ma nonostante i mercati si attendano un allentamento monetario già nel primo trimestre, diversi fattori macroeconomici e geopolitici suggeriscono un approccio prudente. Raphaël Gallardo, Chief Economist di Carmignac spiega perché.
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Resincronizzazione dei cicli economici
Per buona parte dell’anno si continuerà ad assistere ad una sovra-performance dell’economia statunitense rispetto al resto del mondo, tra le principali cause della de-sincronizzazione geografica dei cicli economici che ci ha accompagnato nel 2023. “Viceversa, la ripresa che inizierà a fine anno sarà secondo noi perfettamente sincronizzata. Ciò che ci rende più ottimisti sulla crescita economica globale per il 2024 è principalmente il ciclo di allentamento monetario che si verificherà in Europa, negli Stati Uniti e nei paesi emergenti, resosi possibile grazie alla frenata dell’inflazione a livello mondiale. È lecito pensare che tale mossa da parte dei banchieri centrali sarà efficacie, soprattutto perché la prima a metterla in atto sarà la Fed che, come sappiamo, è il centro nevralgico del sistema monetario internazionale. Quindi gli USA esporteranno il loro allentamento monetario al resto del mondo, attraverso l’indebolimento del dollaro, che a sua volta restituirà alle altre banche centrali margini di manovra per abbassare i tassi. Inoltre, un indebolimento del dollaro alleggerirà il debito in dollari dei mercati emergenti.
Inflazione in calo? Sì, ma è quella ciclica
Il corollario dell’allentamento monetario è il calo dell’inflazione. Da un punto di vista ciclico questa può dirsi sconfitta nell’Eurozona e va riconosciuto che la banca centrale europea ha centrato l’obiettivo, sebbene il prezzo sia stato quello di due anni di stagnazione economica.
Parlare di sconfitta dell’inflazione negli USA, invece, potrebbe essere ancora prematuro. Le autorità della Fed hanno già annunciato che intendono procedere ad un cambio di rotta sia per quanto riguarda la politica dei tassi sia per quella di contrazione del bilancio. Quanto alla prima, la decisione potrebbe essere affrettata e a spingere la Fed potrebbero essere i timori legati alle elezioni presidenziali. Questo potrebbe a sua volta far pensare a una minaccia sull’indipendenza della Fed in materia di politica dei tassi: il pericolo che ne consegue è la possibile indigestione i debito americano da parte del mercato obbligazionario a fronte di una contrazione del bilancio della banca centrale, in un contesto di colossale deficit di bilancio, pari a sei punti del pil.
Quanto ai rischi strutturali insiti e perciò ancora presenti in livello di inflazione più elevato, non bisogna dimenticare che nel corso dell’anno si arresterà la mera componente ciclica dell’inflazione. “Sullo sfondo continueranno infatti ad agire ancora tre forze inflazionistiche strutturali e di lungo termine, che per definizione trascendono il ciclo: l’invecchiamento demografico, la decarbonizzazione e la deglobalizzazione”. La Fed dovrebbe essere la prima ad abbassare i tassi verso maggio-giugno, seguito subito dopo dalla bce e dalle boe, sebbene il sentiment del mercato, forse troppo ottimista secondo Gallardo, anticipa già a marzo un ciclo sincronizzato di tagli.
Cina, l’allentamento monetario da’ a Pechino un po’ di respiro
Quanto alla Cina, lo Chief Economist della casa di gestione francese esprime un cauto ottimismo, sempre in virtù l’allentamento monetario. “In Cina il pericolo non è mai stata l’inflazione, quanto piuttosto la deflazione. La banca centrale cinese avrebbe voluto essere infatti più accomodante nel 2023, ma non ha potuto agire liberamente per paura di provocare una svalutazione delle moneta ma ora che la Fed ha lasciato intendere un cambio di rotta, Pechino ha più margini e sta già iniettando liquidità nell’intero sistema”. Tuttavia, il settore privato è ancora nel marasma, per via innanzitutto della stagnazione del mercato imobiliare, dove i problemi nono sono ancora stati risolti. Inoltre, permangono le problematiche legate all’incertezza normativa e alle tensioni geopolitiche”.Nel complesso, riassume Gallardo, ci si potrà attendere una crescita dell’economia cinese stabilizzata su un flebile 4%.
Le conseguenze di un eventuale ritorno di Trump
Proprio le questioni geopolitiche e politiche saranno di estrema rilevanza nel 2024. Quest’anno, infatti, oltre metà della popolazione mondiale sarà chiamata alle urne e se ci dovesse essere un fattore di incertezza politica che potrebbe tramutarsi in uno di rischio vero e proprio, sicuramente sarebbe proprio quello dell’esito delle elezioni, in particolare le presidenziali statunitensi. “Una rielezione di Trump potrebbe far pesare rischi stagflazionistici sulla crescita del paese a causa delle politiche protezionistiche e anti immigrazione: per questo sarà necessario osservare cosa e quanto di ciò che Trump prometterà in campagna elettorale si tradurrà effettivamente in provvedimenti sul piano pratico”.
In sintesi, conclude l’esperto di Carmignac, la svolta prematura delle banche centrali dovrebbe permettere un soft landing dell’economia mondiale: “tuttavia, per definizione, questo sarà un atterraggio incompleto, con il rischio quindi di una ripresa dell’inflazione nel 2025, soprattutto in caso di una seconda vittoria di Trump”.