Fiscalità delle valute virtuali: quello che occorre sapere

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Il carattere speculativo dell’operazione in criptovalute incide sul profilo fiscale

Le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso costituiscono redditi diversi di natura finanziaria

I detentori di criptovalute sono tenuti alla segnalazione delle stesse nella predisposizione del modello redditi, compilando il Quadro RW

Le criptovalute per il fisco italiano

Il fenomeno delle monete virtuali è diffuso al punto che è, ormai, verosimile ritenere che le criptovalute possano acquisire nel prossimo futuro corso legale e divenire mezzo ufficiale di pagamento.

Nel nostro ordinamento, allo stato attuale, le criptovalute sono considerate da parte del fisco alla stregua di valute estere.

Più in particolare, ad avviso dell’Agenzia delle entrate, come emerge da diversi documenti di prassi, le “valute virtuali” non sono altro che:

  • stringhe di codici digitali opportunamente criptati
  • codici generati in via informatica mediante complessi algoritmi matematici. 

Queste “valute”, scambiate tra utenti a mezzo di codici criptati, hanno natura esclusivamente “digitale”, in quanto create, memorizzate e utilizzate attraverso dispositivi elettronici (ad esempio pc e smartphone), e in quanto generalmente conservate in “portafogli elettronici” (cd. wallet).

Fiscalità delle cripto in Italia

Ebbene, poiché il legislatore assimila le criptovalute alle valute estere, e poiché dalle stesse possono derivare delle plusvalenze, con riferimento al trattamento fiscale applicabile alle operazioni relative alle valute virtuali, si ritiene che, ai fini delle imposte sul reddito delle persone fisiche (che detengono valute virtuali al di fuori dell’attività d’impresa), si applicano i principi che regolano le operazioni aventi ad oggetto valute tradizionali: come messo in evidenza da parte dell’Agenzia delle entrate, le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso costituiscono redditi diversi di natura finanziaria

In questi termini, sottolinea l’Agenzia, occorre distinguere tra:

  • cessioni “a termine” di valute virtuali, generalmente caratterizzate da finalità speculative e come tali soggette a tassazione 
  • cessioni “a pronti”, vale a dire transazioni in cui si ha lo scambio contestuale di una valuta contro una valuta differente. 

Queste ultime (a pronti), infatti, in quanto prive del fine speculativo, non danno origine a redditi imponibili, salvo che la valuta sia ceduta a seguito di prelievo da wallet, e la giacenza media superi un controvalore di euro 51.645,69 per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo d’imposta. 

È in questo caso, spiega l’Agenzia, che il prelievo dai “wallet” (da qualunque tipo di wallet) è equiparato ad una cessione a titolo oneroso.

Ebbene, premesso che la giacenza media va verificata tenuto conto dell’insieme dei “wallet” (di qualunque tipo) detenuti dal contribuente, ai fini della eventuale tassazione del reddito diverso occorre verificare se la conversione di una data valuta virtuale con altra valuta virtuale (oppure da valute virtuali in euro) avviene per effetto di una cessione a termine oppure, in caso di cessione a pronti o di prelievo, se la giacenza media dei wallet abbia superato il controvalore indicato, entro il termine minimo previsto nell’arco di un periodo d’imposta.

In Italia è previsto che nel caso in cui lo scambio di criptovaluta sia effettuato in ottica speculativa, e abbia generato guadagno, questo rileverà ai fini delle imposte sul reddito. In particolare, l’Agenzia delle entrate, ha chiarito che, poiché le criptovalute detenute al di fuori del regime di impresa, possono generare un reddito diverso, sono tassabili in base ai principi di cui all’articolo 67 Tuir.

Per tale ragione, il detentore di criptovalute, o l’investitore, dovrà pagare un’imposta pari al 26% per i guadagni ottenuti mediante le criptovalute, laddove la plusvalenza ecceda la soglia di 51.646 euro. 


Cessione di criptovalute: in quali casi è esente da imposte?

Quando le cessioni di valute virtuali sono prive di finalità speculativa e come tali non danno origine a redditi imponibili, sono esenti da imposteQuesto è uno dei principi ricavabili dalla risposta a interpello n. 397/2022 resa dall’Agenzia delle entrate.

  • Il trasferimento delle proprie criptovalute da una piattaforma ad un’altra, che non determini una realizzazione di plusvalenza, ma consista in una mera modifica delle condizioni di detenzione della valuta sarà esente da imposte.

Siffatta operazione, infatti, deve essere intesa alla stregua un trasferimento di strumenti finanziari da un conto deposito ad altro conto deposito intestato allo stesso soggetto.

Lo scenario, invece, cambia, come su anticipato, se il trasferimento anche “a pronti” (vale a dire una transazione in cui lo scambio è immediato) dia vita ad una plusvalenza e derivi da prelievi da portafogli elettronici (wallet), per i quali la giacenza media superi un controvalore di euro 51.645,69 per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo d’imposta.

Monitoraggio fiscale

Come confermato da una pronuncia del Tar del Lazio con sentenza n. 1077/2020 – i detentori di monete virtuali sono tenuti alla segnalazione delle stesse nella predisposizione del modello redditi, compilando il Quadro RW; in ossequio alla disciplina sul monitoraggio fiscale che si applica ai detentori di strumenti finanziari esteri.

Si ritiene che tale obbligo sussista in quanto le stesse costituiscono attività estere di natura finanziaria suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia.


Attività di staking

Secondo gli ultimi chiarimenti resi dall’Agenzia delle entrate con la risposta a interpello n. 437/2022, per quanto concerne la remunerazione derivante dalla attività di “staking“, ovvero del compenso in cripto-valute corrisposto a fronte del “vincolo di disponibilità” delle stesse, cioè di un vincolo di non utilizzo per un certo periodo di tempo, si ritiene applicabile quanto previsto dall’articolo 44, comma 1, lettera h), del Tuir. 

Tale norma, in particolare, dispone che costituiscono redditi di capitale «gli interessi e gli altri proventi derivanti da altri rapporti aventi per oggetto l’impiego del capitale, esclusi i rapporti attraverso cui possono essere realizzati differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto».

Infatti, spiega l’Agenzia, sono inquadrabili tra i redditi di capitale sulla base di tale fattispecie impositiva non soltanto i redditi che siano determinati o predeterminabili, ma anche quelli variabili in quanto la relativa misura non sia collegata a parametri prefissati.

In questi termini, le remunerazioni in cripto-valuta percepite dalle persone fisiche, al di fuori dell’attività d’impresa, per l’attività di staking siano soggette ad imposizione ai sensi della citata lettera h) del comma 1 dell’articolo 44 del Tuir e, pertanto, se accreditate nel wallet da una Società italiana, quest’ultima è tenuta all’applicazione della ritenuta nella misura del 26 per cento.

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