Da Fed e Bce messaggi molto diversi, ecco le possibili conseguenze

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La Federal Reserve ha sorpreso gli esperti e i mercati con una svolta nel suo approccio monetario, indicando la possibilità di tagli dei tassi, mentre la Bce si è mostrata più prudente. Fidelity International spiega cosa potrebbero comportare questi due differenti approcci

Il 2023 si è chiuso con una Federal Reserve sorprendentemente dovish che ha fatto sorridere gli investitori con l’S&P 500 che si è riportato appena sotto i massimi storici e parallelamente sull’obbligazionario il rendimento dei titoli a due anni è sceso rapidamente. Non c’è dubbio che i risultati sull’inflazione si stanno vedendo più velocemente di quanto ci si potesse aspettare, considerando che a novembre si è ulteriormente abbassata, arrivando al 3,1% su base annua, eppure può essere prematuro pensare di averla sconfitta.

Max Stainton, Asset Allocation Analyst di Fidelity International, spiega che la decisione di lasciare intuire che i primi tagli potrebbero già vedersi nel primo trimestre del 2024 ha sorpreso così tanto perché “ci aspettavamo che tenessero i tassi di interesse d’occhio per uno o due trimestri, per assicurarsi che fossero davvero incorporati nel sistema, prima di uscire e dire ‘ok, sembra tutto a posto, inizieremo a segnalare i tagli a marzo’”.

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Inflazione destinata a risalire?

Stainton è convinto che se la banca centrale statunitense procederà con questo allentamento e i mercati lo prezzeranno in modo eccessivo, il risultato potrebbe essere l’opposto di quello sperato: l’inflazione potrebbe infatti tornare a salire. Ormai si è entrati nella mentalità di un’inflazione superiore al target del 2% ancora per un lungo periodo, l’esperto ritiene che gli investitori potrebbero interfacciarsi con una media del 3% per i prossimi 10 anni. “È politicamente conveniente per i politici permettere che l’inflazione rimanga più alta più a lungo perché l’inflazione elimina il gigantesco peso del debito che gli Stati Uniti si trovano ad affrontare più velocemente di quanto farebbero altrimenti”.

Ma quindi, cosa aspettarsi per i prossimi mesi? Ad oggi sembra che un atterraggio morbido rimanga l’opzione più probabile nel futuro immediato, ma questo potrebbe essere seguito da una recessione già nel corso del 2024. “Detto questo – spiega l’esperto – se la svolta della Fed sarà effettivamente sostenuta da un’azione sotto forma di pesanti tagli dei tassi anticipati, la longevità dell’attuale fase di atterraggio morbido potrebbe anche estendersi”.

In Europa c’è un contesto bene diverso

In Europa, invece, la situazione sembra trovarsi in un punto di partenza ben diverso. Dopo sei mesi consecutivi di inflazione in calo, l’indice dei prezzi al consumo dell’area euro è tornato ad alzarsi, passando dal 2,4% di novembre al 2,9% di dicembre. In certe aree nello specifico questo effetto è ancora più forte, basti guardare alla Germania dove l’inflazione a dicembre è arrivata al 3,8%, crescendo dell’1,5% rispetto al mese precedente.

Questo piccolo campanello d’allarme sui prezzi si aggiunge a prospettive non proprio rosee per l’economia con le previsioni per il 2024 della Banca centrale europea che sono di una crescita inferiore all’1%. Una Bce che nell’ultima riunione si è mostrata più falco della Fed e quindi restia a dare adito ad attese di tagli dei tassi, anche se il mercato si attende che la politica monetaria diventi meno restrittiva anche in Europa nel corso dell’anno.

Fidelity è convinta che quest’anno si verificherà la recessione in Europa e, se ciò è vero, allora il proseguimento della stretta monetaria per un periodo più lungo è assolutamente un errore e non farà altro che aggravare la recessione.

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