Donne e leadership: un cambiamento che parte dalla mentalità

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Il raggiungimento della parità di genere è un obiettivo ancora lontano, come è chiaro guardando alla percentuale di donne nei consigli di amministrazione. Come colmare questo gap?

Il 2154 sembra un anno ben lontano, e lo diventa ancora di più se si pensa che solo in quell’anno si sarà raggiunta la piena uguaglianza di genere.

Stando al Global Gender Gap Report 2023, pubblicato dal World Economic Forum, a livello globale, l’uguaglianza di genere è tornata ai livelli pre-COVID, e il ritmo del cambiamento è stagnante a causa delle crisi convergenti che rallentano i progressi. La parità è progredita di soli 4,1 punti percentuali dalla prima edizione del rapporto nel 2006, con un rallentamento significativo del tasso di variazione complessivo. Per colmare il divario complessivo tra i sessi saranno quindi necessari 131 anni e, al ritmo attuale, ci vorranno 168 anni per la parità economica e 161 anni per quella politica.

La lentezza del cambiamento è chiara se si guarda ai consigli di amministrazione: nonostante il numero di donne in queste posizioni è aumentato, raggiungendo il record del 24,5% dei 2.811 componenti dell’indice MSCI All Country Wolrd, questo è ancora ben lontano dal numero di figure femminili che sono parte della forza lavoro. Secondo Vontobel Asset Management, per andare incontro a un cambiamento definitivo è necessario muoversi su diversi fronti: partire dalla legislazione, ampliando però anche il concetto di qualificato, riconoscendo così l’abbondanza di talenti presenti nel mercato del lavoro. L’idea base che i membri del consiglio di amministrazione debbano avere una profonda esperienza e conoscenza dell’azienda, oltre che dell’ecosistema in cui opera non devono venire meno, ma aprire la posizione a un gruppo eterogeneo, che questo sia per età, sesso o etnia, offre anche una gamma di prospettive molto ampie e una maggiore sensibilità ai temi Esg. Eppure, ad oggi, la maggior parte di queste cariche importanti sono nelle mani di uomini bianchi e per lo più sessantenni, che rappresentano e mantengono lo status quo.

Un cambiamento che parte da nuove regole

Sono stati necessari decenni di dibattito, ma sembra siano sempre di più i Paesi che si stanno impegnando a includere nella loro legislazione norme che spingano per azzerare il gender gap, dagli stipendi alla presenza nei consigli di amministrazione.

Il primo paese a dotarsi di una simile legge è stata la Norvegia nel lontano 2005, legge che prevede che sia grandi che medie imprese debbano avere la stessa quota di genere. Anche alcuni paesi emergenti si sono uniti allo sforzo: dalla Malesia, che ha introdotto una raccomandazione del 30% di amministratori donna nel suo codice di corporate governance nel 2017 e dal 2022 ha imposto una regola ferrea sulla presenza di donne nei consigli di amministrazione, all’India, che ha rafforzato i suoi requisiti di diversità di genere nel 2020 per includere un amministratore donna indipendente nelle prime 1.000 società in base alla capitalizzazione di mercato.

Recentemente anche l’Unione Europea ha iniziato a muoversi, approvando una legge che prevede che le grandi società quotate in borsa debbano avere un minimo del 40% di donne nei consigli di amministrazione entro giugno 2026.

Questo non significa che la strada che le donne si trovano di fronte sia ora tutta in discesa: sono molte le aziende che rispondono dicendo che non riescono a trovare un numero sufficiente di donne qualificate a quelle posizioni. Ciò è dovuto, secondo gli esperti di Vontobel AM, “alle preferenze storiche e all’idea che gli ex direttori finanziari e amministratori delegati rappresentino le qualifiche ideali”. Finché non si cambierà questa mentalità, sarà allora molto difficile che le donne faranno parte del pool di talenti selezionati.

Requisiti più bassi? No, solo diversi

Per fare in modo che le donne non vengano più viste come scelte obbligate per allinearsi alle norme o scelte di serie b è fondamentale ampliare il significato di ‘qualificato’, cambiando quindi drasticamente la mentalità di reclutamento. Ciò che dovrebbe essere fondamentale è “essere candidati credibili che possono svolgere un ruolo critico nel rappresentare gli azionisti con idee, competenze e capacità rilevanti”, sottolineano gli esperti. Per esempio, per occupare i posti nei consigli di amministrazione si possono considerare anche figure che non arrivano solo da organizzazioni no profit, università o il settore pubblico, guardare alle figure di leadership all’interno delle singole unità o delle risorse umane, potrebbe rivelarsi una mossa vincente. I dirigenti del team hr, ad esempio, “svolgono un ruolo importante nello sviluppo dei talenti, nel consolidamento della cultura aziendale e nella definizione di compensi e incentivi, tutte questioni strategiche che i membri del consiglio di amministrazione si trovano ad affrontare”.

Riconsiderare gli standard per l’esperienza operativa o commerciale, individuando candidati capaci senza farsi fermare dalla posizione di partenza potrebbe essere un passo fondamentale per dare accesso a posizioni di prestigio alle donne.

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