La corsa all’energia pulita farà schizzare l’inflazione?

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Secondo Isabel Schnabel, membro del comitato esecutivo della Bce, la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio potrebbe tenere alta l’inflazione più a lungo del previsto. Costringendo l’Eurotower a un dietrofront

L’inflazione annuale nell’eurozona, secondo l’Eurostat, ha toccato quota 5% lo scorso di dicembre. A registrare i tassi più elevati sono Estonia, Lituania e Lettonia. La componente più calda resta quella dell’energia (+26% a fronte del +27,5% di novembre)

Schnabel: “La necessità di intensificare la lotta ai cambiamenti climatici potrebbe implicare che i prezzi dei combustibili fossili non solo dovranno rimanere elevati ma dovranno anche continuare a crescere se vogliamo raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi”

L’impennata dei prezzi dell’energia ha spinto l’inflazione a quota 5% lo scorso di dicembre. Un dato in crescita di 0,1 punti percentuali sul mese di novembre. A registrare i tassi più elevati, nell’ultima stima flash dell’Eurostat, sono state Estonia (12%), Lituania (10,7%) e Lettonia (7,7%). Sul fronte opposto Malta (2,6%), Finlandia (3,2%) e Francia (3,4%). La Banca centrale europea, dal proprio canto, si è impegnata a mantenere la sua politica monetaria estremamente accomodante per almeno un altro anno. Ma secondo Isabel Schnabel, membro del comitato esecutivo dell’Eurotower intervenuta al meeting annuale dell’American finance association, la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio potrebbe costringere la Bce a un dietrofront.
I prezzi dell’energia dei 19 paesi membri della zona euro, rivela ancora l’Eurostat, sono schizzati del 26% nel mese di dicembre (a fronte del 27,5% di novembre). Seguono cibo, alcol e tabacco (3,2% dal 2,2% di novembre), beni industriali non energetici (2,9% dal 2,4%) e servizi (2,4% dal 2,7%). I prezzi del gas naturale, ricorda invece Schnabel, hanno raggiunto livelli record lo scorso anno, spingendo i prezzi all’ingrosso dell’elettricità sui 196 euro per megawatt (quasi quattro volte i livelli pre-covid). “Mentre in passato i prezzi dell’energia sono spesso diminuiti con la stessa rapidità con cui sono aumentati”, avverte la responsabile per le operazioni di mercato, “la necessità di intensificare la lotta ai cambiamenti climatici potrebbe implicare che i prezzi dei combustibili fossili non solo dovranno rimanere elevati ma dovranno anche continuare a crescere se vogliamo raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi”.
A fine anno la Bce ha risposto ai timori sul rapido aumento dei prezzi annunciando una riduzione graduale del programma di acquisto di titoli di Stato, incrementato per consentire alle economie europee di far fronte alla crisi innescata dall’emergenza pandemica. Mentre le altre banche centrali (come la Federal Reserve e la Bank of England), racconta il Financial Times, hanno optato per un inasprimento più rapido delle proprie politiche. Approccio che, secondo i critici, dovrebbe essere replicato anche dalla Bce.

Schnabel ha delineato dunque due scenari in cui la politica monetaria “dovrebbe cambiare rotta”. Innanzitutto, qualora i prezzi dell’energia costantemente elevati spingessero i consumatori a temere che l’inflazione non sia tanto temporanea come auspicato, generando una spirale prezzo-salario in stile anni ’70. Ma, secondo Schnabel, almeno finora i salari e le richieste sindacali “restano relativamente moderati”. La seconda opzione riguarda invece la corsa al green. Per l’esperta, la possibilità di un dietrofront della banca centrale è legata al fatto che le politiche per affrontare il cambiamento climatico (come una tassa sul carbonio o misure per compensare le famiglie più povere dei maggiori costi energetici) potrebbero aumentare le pressioni inflazionistiche.

“I prezzi del carbonio nell’Unione europea e altrove sono aumentati in modo brusco lo scorso anno, rafforzando gli sforzi per ridurre le emissioni di carbonio il più velocemente possibile e accelerando gli investimenti nelle tecnologie verdi”, spiega Schnabel. “Dato che il cambiamento del mix energetico verso combustibili meno costosi e ad alta intensità di carbonio richiederà tempo, un prezzo del carbonio in aumento, aliquote fiscali più alte su una serie di combustibili fossili e una domanda di energia relativamente inelastica, possono portare a una continua pressione al rialzo sui prezzi al consumo nel periodo di transizione”. Di conseguenza, i governi “dovranno proteggere le parti più vulnerabili della società dall’aumento dei prezzi dell’energia in un modo che non ritardi la transizione verde”.

Quanto alla politica monetaria, la Bce dovrà verificare se tale aumento rappresenti un rischio per la stabilità dei prezzi nel medio termine, vale a dire “se le prospettive di un perdurante incremento dei prezzi dell’energia contribuiscono a disancorare le attese d’inflazione o se la pressione al rialzo dei prezzi minaccia di portare al di sopra del target del 2%, dal momento che l’aumento dei prezzi dei combustibili fossili e la dinamica dell’attività economica stimolano (invece che comprimere) la crescita, l’occupazione e la domanda aggregata nel medio termine”, conclude Schnabel.

Gli articoli pubblicati sono stati realizzati da giornalisti e contributors di We Wealth e vengono forniti a Poste Premium a scopo informativo.


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