Conflitto Israele-Hamas: 4 possibili scenari ed effetti sui mercati

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I timori sugli equilibri internazionali si sono acuiti in seguito allo scoppio del conflitto in Israele e gli investitori si interrogano sulle possibili evoluzioni di questa guerra. T. Rowe Price ha analizzato diversi scenari e gli effetti sul mercato

È dal 7 ottobre che tutti gli occhi sono puntati su Israele, o meglio sui 45 chilometri quadrati di Gaza. Ed è proprio fin dall’inizio che sono stati attivati grandi sforzi diplomatici, dagli Stati Uniti alle Nazioni Unite, per contenere il conflitto tra Hamas e Israele, che continua a infliggere un altissimo numero di vittime tra i civili.

Al momento, è ancora troppo presto per anticipare possibili esiti geopolitici, ciò che è certo è che questa instabilità pesa anche sui mercati: come dimostra l’andamento dell’indice VIX, che misura la volatilità implicita dell’S&P 500 che è salita di quasi il 13% negli ultimi giorni di ottore. Nonostante gli sforzi degli Stati Uniti e del Qatar per contenere il conflitto, quindi, i mercati sembrano ancora temere un allargamento della crisi al resto del Medio Oriente.

Peter Botoucharov, Credit Analyst di T. Rowe Price, ha immaginato quattro diversi scenari riguardanti lo sviluppo del conflitto tra Israele e Hamas, vediamoli insieme:

1. Il conflitto rimane circoscritto a Gaza

Al momento è chiaro l’impegno internazionale affinché il conflitto rimanga limitato a Gaza, senza espandersi anche in altri paesi. In tal senso gli Stati Uniti stanno giocando un ruolo chiave, cercando anche di contenere una risposta violenta da parte di Israele.

2. Viene aperto un nuovo fronte militare con Hezbollah nel nord di Israele

Hamas non sembra l’unica forza pronta a combattere contro Israele, proprio in questi giorni si sono verificati vari scontri sul confine tra Israele e Libano, con gli Hezbollah libanesi che si sono detti pronti a combattere contro Israele. Considerando che l’esercito israeliano si sta spostando verso Gaza, è possibile che la pressione su Hezbollah per agire diventi sempre più forte. L’esperto sottolinea però che “un fattore potenzialmente limitante è che un rinnovo delle ostilità con Israele non sarebbe popolare in Libano, soprattutto perché Hezbollah sta attualmente esercitando un’intensa attività di lobbying nelle elezioni presidenziali libanesi”.

3. Il conflitto viene aperto anche all’Iran

Ci sono alcuni indizi che indicano che l’Iran potrebbe aver fornito sostegno ad Hamas nell’attacco a Israele, se questo dovesse dimostrarsi vero e Israele decidesse di colpire direttamente l’Iran, allora il rischio di una escalation potrebbe essere inevitabile.

4. Il conflitto si espande in tutto il Medio Oriente, dall’Egitto alla Turchia e ai Paesi del Golfo

I Paesi del Medio Oriente, chi da una parte e chi dall’altra, hanno già iniziato a schierarsi. La speranza è che questi schieramenti non portino con loro anche prese di posizioni militari, ma solo di mediazione. Ad esempio, Turchia, Egitto e Qatar potrebbero sfruttare il loro rapporto con Hamas per posizionarsi come mediatori e migliorare la loro posizione con l’Occidente.

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Quali sono i rischi della guerra?

L’impatto potenziale sui mercati dell’energia deriva principalmente da una potenziale escalation o de-escalation della crisi piuttosto che da qualcosa di fondamentale in tali mercati. Sebbene l’aumento dei prezzi nel breve periodo sia stata una reazione comprensibile all’attacco contro Israele, non consideriamo inevitabile un aumento dei prezzi dell’energia”, spiega Botoucharov. In generale, l’impennata dei prezzi del petrolio e del gas poi torna subito sotto controllo appena le tensioni geopolitiche vengono risolte. Si tratta di un’arma a doppio taglio, infatti se il conflitto non solo non dovesse risolversi velocemente, ma anzi si espandesse anche ad altre aree, il rischio di un picco dei prezzi sarebbe inevitabile.

Attualmente è importante chiarire che si tratta di un rischio limitato, infatti è vero che Israele produce gas che viene liquefatto e poi esportato, per lo più verso l’Egitto, ma è anche vero che gli stoccaggi in Europa sono ai massimi livelli stagionali da otto anni, quindi anche nel caso di un inverno particolarmente rigido, non dovrebbero esserci gravi carenze. Per quanto riguarda invece “i timori di un’impennata dei prezzi del petrolio fino a 100 dollari al barile implicano un’interruzione di terzo ordine, dovuta a un’azione iraniana più drastica o a un coinvolgimento più diretto dell’Arabia Saudita e di altri Paesi OPEC”, spiega l’esperto.

Nel frattempo, come sta reagendo il mercato obbligazionario? Subito dopo l’attacco di Hamas, lo shekel israeliano si è svalutato rispetto al dollaro, superando la soglia di 4 ILS per dollaro per la prima volta dopo il 2015, ma è un deprezzamento ben meno drammatico rispetto a quelli del 2012 e del 2014/2015, che sono stati rispettivamente del 10% e del 18%.
A parte Israele, però, a che i paesi vicini non sono usciti incolumi dall’inizio di questo conflitto: i rendimenti delle obbligazioni egiziane e giordane in dollari sono aumentati, perché gli investitori hanno valutato un rischio maggiore nel possesso del debito. Ma mentre il debito egiziano era già sotto pressione a causa della sua incapacità di sbloccare i finanziamenti del Fondo Monetario Internazionale, la Giordania riesce a mantenersi stabile, grazie ai fondi dell’Fmi, ma anche alla ripresa del turismo.

Il conflitto si trova ancora nelle sue fasi iniziali, quindi probabilmente sarà necessario ancora parecchio tempo per capire quali saranno gli effetti sull’economia e quanto questo conflitto peserà a livello globale.

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