Il rischio di inflazione è sempre più concreto, pur non essendo chiaro se sia un elemento transitorio o destinato a permanere nel contesto economico. “In particolare il tema è rilevante per gli Usa” dice Kevin Thozet, membro del Comitato di investimento strategico di Carmignac, “dove la ripresa è molto solida, trainata dalla ripartenza delle attività produttive e dall’enorme eccesso di risparmi che rappresenta il 10% del pil americano ed è pronto per essere speso”. L’offerta, invece, risulta essere debole. Vale la pensa sottolineare che “si tratta senza dubbio di un effetto amplificato indotto dagli eventi eccezionali degli ultimi 14 mesi. Ci troviamo in un momento in cui l’inflazione inizia gradualmente a crescere, solo che questa volta è in fase di accelerazione anche perché le aziende devono ricostituire urgentemente le scorte per riprendere la produzione a pieno regime in previsione dell’aumento della domanda”.
Spinta inflazionistica: transitoria o strutturale?
Capire in quale fase del ciclo economico ci troviamo è fondamentale per provare a prevedere il futuro. Innanzitutto, spiega Kevin Thozet, “l’inflazione riguarda più gli Usa che l’Europa, per via di una ripartenza anticipata e pacchetti di stimolo che sono stati più massicci e più rapidi; inoltre in Europa molte aziende sono sopravvissute a malapena grazie ai sussidi e pertanto detengono un potere di determinazione dei prezzi molto esiguo”. È quindi lecito domandarsi se questa spinta inflazionistica negli Stati Uniti sarà transitoria, come ribadito dalle banche centrali, o diventerà strutturale.
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