Sebbene, in linea di principio generale, la vendita di opere d’arte da parte di privati collezionisti non sia tassata, vi sono situazioni in cui la dismissione delle opere effettuata con il carattere dell’“abitualità” genera dei redditi fiscalmente rilevanti. In un recente caso giudiziario è stata confermata questa impostazione e il collezionista privato è stato fiscalmente riqualificato come “imprenditore commerciale” con conseguente applicazione delle imposte sui ricavi delle vendite ed in particolare dell’Irpef e dell’Iva con il regime del margine ma non anche dell’Irap in assenza di una autonoma organizzazione (ordinanza n. 16 gennaio 2024, n. 1603 Cassazione). L’accertamento fiscale originario è stato basato sia sulle dichiarazioni di vendita rinvenute presso una nota società veneta rivenditrice di opere d’arte sia sulle movimentazioni bancarie del collezionista in quanto in parte non collegate alle prime oltre che su operazioni fuori conto in entrata e in uscita. Di qui la riqualifica delle vendite come attività commerciale svolta in modo professionale e abituale, anche se non in via esclusiva, e indipendentemente dall’impiego di una vera e propria “organizzazione”.
L’identikit del collezionista rivenditore abituale
L’aspetto centrale che ha portato a tale riqualificazione è stato il carattere “abituale” delle vendite, che per la disciplina fiscale è elemento sufficiente a connotare come commerciale l’attività del collezionista (art. 55 TUIR) diversamente dalla disciplina civilistica. Ma cosa si intende esattamente per “abitualità”? Lo chiariscono i giudici nella motivazione dell’ordinanza in cui evidenziano che gli elementi significativi idonei a dimostrare la sistematicità e la professionalità dell’attività d’impresa possono essere: il numero delle transazioni effettuate, gli importi elevati, il quantitativo di soggetti con cui sono stati intrattenuti rapporti, la varietà della tipologia di beni alienati. La circostanza che l’attività sia stata svolta “nel tempo” e in forma “non occasionale” esclude che possa ragionarsi in termini di attività non professionale, secondo i parametri sopra delineati.
Collezionista o mercante d’arte?
Ricorrendo quindi il carattere dell’abitualità il collezionista viene riqualificato come “mercante di opere d’arte” in quanto professionalmente e abitualmente ne esercita il commercio anche in maniera non organizzata imprenditorialmente col fine ultimo di trarre un profitto dall’incremento del valore delle medesime opere. In ciò la sua figura si distingue dal mero collezionista, e cioè da quella di chi acquista le opere per scopi culturali, con la finalità di incrementare la propria collezione e possedere l’opera, senza l’intento di rivenderla generando una plusvalenza, avendo interesse per lo più per l’aspetto estetico-culturale, per il piacere che il possedere le opere genera, per l’interesse all’arte, per conoscere gli artisti, per vedere le mostre.
Il collezionista “speculatore occasionale”
Ma anche le vendite occasionali possono generare un reddito tassabile se l’intento originario dell’acquisto dell’opera era quello di realizzare un profitto dalla successiva rivendita. Si tratta della figura dello “speculatore occasionale” e cioè di chi acquista occasionalmente opere d’arte per rivenderle allo scopo di conseguire un utile e produce così un reddito da attività commerciali non eserciate abitualmente su cui sono dovute le imposte. La distinzione effettiva tra le tre figure non è nel concreto così agevole e si procede caso per caso.
Il quadro della tassazione del collezionista sarà ridefinito in modo più chiaro a breve con l’attuazione dei principi contenuti nella legge delega di riforma fiscale che porterà all’introduzione di criteri più oggettivi per l’individuazione delle vendite di opere d’arte redditualmente rilevanti.
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In copertina: Salvo, Il Mattino (2006) (dettaglio). Courtesy Sotheby’s.