Soffriranno gli amanti del monumentale film The Brutalist (Brady Corbet, 2024), ma nella nuova architettura di Trump c’è posto solo per la vecchia. Il neo presidente degli Stati Uniti ha infatti reintrodotto ufficialmente il 20 gennaio 2025 – giorno del suo insediamento – una delle politiche del suo primo mandato, volta a favorire la costruzione e la ristrutturazione rigorosamente “classica” di tutti gli edifici governativi del Paese.
Cosa si intende per “classicità” negli Usa? In questo caso significa ante-modernismo, ossia ante primi del ‘900, prima dei movimenti Internazionale, Espressionista, Brutalista, Nuovo Formalista, Decostruttivista, Googie (anche detto populuxe o doo-wop). In altre parole: prima di tutte quelle scuole di pensiero architettonico con al centro la forma piuttosto che la decorazione, ovvero il contrario di quanto sta propugnando adesso The Donald con la sua politica “Beautiful Federal Civic Architecture executive order”. Con buona pace del più importante architetto statunitense, il divino Frank Lloyd Wright (1867-1950), esponente di spicco del movimento moderno e ideatore della architettura organica, filone del modernismo mirante a conciliare le esigenze dell’uomo con quelle della natura.

Frank Lloyd Wright, Casa sulla cascata

Frank Lloyd Wright
La “nuova” architettura di Donald Trump: “Stupire il pubblico”
In base ai nuovi dettami, i burocrati a stelle e strisce dovranno favorire un tipo di progettazione civica che “susciti l’ammirazione del pubblico”. Sul sito della Casa Bianca si legge che “gli edifici pubblici federali dovrebbero essere visivamente identificabili come edifici civili”. Dovranno inoltre “rispettare il patrimonio architettonico regionale, tradizionale e classico, al fine di elevare e abbellire gli spazi pubblici e nobilitare gli Stati Uniti e il nostro sistema di autogoverno”.
Già all’epoca del primo mandato del tycoon, Robert Ivy, ex capo dell’American Institute of Architects, si era detto contrario ai principi guida per l’architettura federale, dichiarando che il gruppo si sarebbe opposto all’ordine, che a suo dire avrebbe ingabbiato la creatività dei professionisti del righello e del compasso in rigide e predefinite scelte estetiche.
Trum ha firmato l’ordine esecutivo insieme agli altri, fra cui quelli riguardanti il confine tra Stati Uniti e Messico e il gender. Con questo “editto” il presidente chiede ai responsabili delle agenzie federali e alla General Services Administration, l’organizzazione che gestisce gli edifici e i beni immobili federali, di fornire entro 60 giorni raccomandazioni per allineare l’architettura federale ai principi tradizionali e “classici”. Ossia lo stile georgiano, il revival greco, il gotico e a altre correnti precedenti l’era modernista.

Frank Lloyd Wright, Robie House, Chicago, 1908-1910
“Abbellire gli spazi pubblici”
L’obiettivo dell’ordinanza è quello di “abbellire gli spazi pubblici” enfatizzando i progetti architettonici che “rispettano il patrimonio regionale e si allineano alle tradizioni classiche dell’America”. La direttiva dell’amministrazione Trump è in realtà un aggiornamento di un regolamento del 1962 sull’architettura federale. Seguendo quelle regole, ci si concentrava sulla concertazione nelle decisioni di progettazione pubblica, con il contributo della comunità, che influenzava le modalità di realizzazione o ristrutturazione delle strutture. A patto che non avesse gusti troppo “moderni”, verrebbe da dire.
L’ordine esecutivo del primo mandato Trump ebbe vita breve, avendolo lui firmato nel febbraio 2020. Fu poi il presidente Joe Biden ad abrogarlo all’inizio del suo mandato, nel febbraio 2021. Decisione che all’epoca venne salutata con entusiasmo da Peter Exley, presidente dell’AIA: «Annullando questa decisione, l’amministrazione Biden ha restituito alle comunità libertà di scelta progettuale». Un punto «essenziale per progettare edifici federali che servano al meglio il pubblico. Ciò è di fondamentale importanza per il processo creativo di un architetto, nonché per ottenere edifici della massima qualità possibile». Ora, tutto è di nuovo cambiato. Impossibile non pensare – con un brivido – alla questione dell’arte degenerata (entartete Kunst) di hitleriana memoria. Chissà cosa direbbe László Tóth.