Successione Del Vecchio: una questione ancora aperta per gli eredi
La successione di Leonardo del Vecchio continua a occupare le prime pagine dei media: sembra che, a dispetto del tempo trascorso – oltre due anni e mezzo – dalla scomparsa del visionario imprenditore, i suoi eredi non abbiano ancora raggiunto un accordo.
Si discute, in particolare, di alcune decisioni da adottare all’interno della Delfin, holding lussemburghese che custodisce, tra l’altro, una partecipazione di circa il 32% in Essilor Luxottica, nella quale gli otto eredi detengono il 12,5% del capitale ciascuno.
Il quorum deliberativo e il rischio di stallo
Tali determinazioni sono state impedite, fino a oggi, dalla mancata convergenza di tutti gli eredi, essendo stato previsto statutariamente un quorum deliberativo nella misura dell’88% (che si traduce, in concreto, nella necessità dell’unanimità dei consensi).
Le possibili motivazioni a monte della scelta del fondatore di fissare il quorum in una misura così elevata possono essere intuibili:
- da un lato, forse, l’auspicio che gli eredi si sarebbero sempre trovati di comune accordo;
- dall’altro, la convinzione che un quorum di fatto “totalitario” avrebbe garantito uniformità di trattamento tra i soci, prevenendo a priori il rischio della formazione di coalizioni di maggioranza “ostili” a uno o più familiari.
Come evitare gli stalli nelle holding familiari
Per quanto tali motivazioni siano comprensibili e, in linea di principio, condivisibili, la storia insegna che, quando è prevista l’unanimità dei consensi per le decisioni societarie, aumenta esponenzialmente il rischio di stalli, suscettibili di tradursi in pericolosissime impasses operative della holding e, a cascata, del gruppo industriale a valle.
Nell’attività di pianificazione patrimoniale, quando si ha a che fare con enti societari (e, in particolare, qualora si tratti di holding a capo di importanti gruppi industriali), tali rischi vanno tenuti in debito conto, al fine di valutare se – piuttosto – non sia il caso di concentrare il controllo in capo a uno o più soggetti (il che ovviamente presuppone la non semplice individuazione di chi – per capacità, equilibrio e senso di responsabilità – sia più idoneo a detenere il controllo, nell’interesse non solo proprio, ma della stessa società e dell’intera compagine sociale).
La tutela dei soci di minoranza nella governance societaria
Al di là delle scelte concrete, che andranno necessariamente declinate in base alle diverse peculiarità di ogni famiglia, si vuole qui evidenziare un aspetto importante: come la concentrazione del controllo in capo a un soggetto (persona fisica, società o trust) o comunque a una compagine coesa (ad esempio, perché legata da una comunione sulle partecipazioni) non comporti affatto la necessaria conseguenza di pregiudicare i diritti dei soci di minoranza.
L’ordinamento offre infatti una serie di strumenti utili a garantire i diritti – tanto di natura economica quanto amministrativa – del socio di minoranza: si pensi all’inserimento in statuto di quorum assembleari “rafforzati” per specifiche decisioni, o alla previsione in base a cui determinate delibere non possano essere assunte senza il voto favorevole del socio di minoranza; o ancora, nella Srl (il “modello” societario più frequente nelle holding italiane), alla possibilità di “ancorare” alla persona del socio un diritto di conseguire gli utili (o una parte degli stessi) anche in assenza di una specifica delibera assembleare (“diritto al dividendo”), così come un diritto di esprimere uno o più membri dell’organo amministrativo o di quello di controllo.
Strumenti di flessibilità per le decisioni societarie
Va poi ricordata la possibilità di ricorrere agli strumenti finanziari partecipativi ai sensi dell’art. 2346 sesto comma c.c., che possono essere dotati del diritto di voto su argomenti specifici, così come del diritto di nominare un componente indipendente del consiglio di amministrazione o di un sindaco (art. 2351 c.c.).
Non può poi non essere menzionata la possibilità di aumentare o diminuire il “peso” dei diritti amministrativi connessi alla partecipazione societaria: nelle Spa possono essere create (nei limiti della metà del capitale sociale) azioni senza diritto di voto, con diritto di voto limitato a particolari argomenti o subordinato al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative.
Le nuove regole del Decreto capitali per le azioni a voto plurimo
In virtù del recente Decreto capitali (Legge 21/2024), la società può poi emettere azioni a voto plurimo (anche per particolari argomenti), fino a un massimo di 10 voti per azione (e non più tre per azione, com’era in precedenza).
Anche nella Srl può essere graduato, con ampia flessibilità, il “peso” dei diritti amministrativi dei soci, ricorrendo tanto all’attribuzione di diritti particolari ai sensi dell’art. 2468 comma terzo c.c., quanto (nelle Srl – Pmi) alla creazione di quote di categoria.
Pianificazione patrimoniale e governance intergenerazionale
La possibilità, offerta dall’ordinamento in più modi, di “disallineare” il valore economico/patrimoniale della partecipazione societaria e i diritti amministrativi connessi (in primis il diritto di voto) consente quindi di pianificare la governance societaria, anche in prospettiva intergenerazionale, con la massima flessibilità, potendo scegliere di concentrare il controllo in capo a uno o ad alcuni soci e al contempo di tutelare gli interessi di quelli di minoranza, peraltro nel pieno rispetto dei diritti di legittima di ciascuno.