La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con sentenza emessa il 22 novembre 2022, ha bocciato l’accesso al pubblico al Registro dei titolari effettivi, introducendo così un’importante limitazione ad uno degli strumenti più recenti ed innovativi creati dal legislatore europeo ai fini del contrasto al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo. La vicenda trae origine da due distinti ricorsi, presentati rispettivamente da una società lussemburghese e da un titolare effettivo di un’altra società, con cui i ricorrenti avevano impugnato il diniego loro opposto dal gestore locale del registro dei titolari effettivi alla richiesta di limitare l’accesso alle informazioni che li riguardavano, lamentando la natura intrusiva del registro medesimo. L’Autorità giudiziaria adita sospendeva i procedimenti e domandava alla Corte di Giustizia se la normativa antiriciclaggio potesse comportare un sacrificio dei diritti alla riservatezza dei beneficiari effettivi, avendo come parametrato le norme del GDPR e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
All’esito del giudizio, contrariamente ad ogni
aspettativa, la Corte Europea, riunita in Grande
Sezione, ha dichiarato invalido l’art. 30, paragrafo 5, lett. c) della IV Direttiva AML, così come
modificato nel 2018 dalla V Direttiva AML, ossia la previsione ai sensi della quale le informazioni sulla titolarità effettiva delle società e delle altre entità giuridiche debbano essere accessibili al pubblico, in quanto tale previsione viola i diritti fondamentali tutelati dagli artt. 7 ed 8 della Carta. Ad essere censurata, dunque, è la versione attuale della disposizione, che a differenza di quella originaria, non prevede più, per le società o altre entità giuridiche, il requisito del “legittimo interesse”. Ebbene, secondo la Corte europea, l’accesso del pubblico alle informazioni sulla titolarità effettiva costituisce una grave ingerenza nei diritti fondamentali al rispetto della vita privata e familiare, nonché alla protezione dei dati personali. Tale ingerenza consiste nel fatto che un numero potenzialmente illimitato di persone ha accesso ai dati personali nonché patrimoniali ed economici dei titolari effettivi che, una volta messi a disposizione del pubblico, possono essere conservati e diffusi, con conseguenze ancora più pericolose in caso di eventuali abusi. L’ingerenza non sarebbe tollerabile perché l’obiettivo di prevenire il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo potrebbe essere conseguito con altri mezzi meno lesivi dei diritti fondamentali.
A nulla valgono poi le tutele previste dalla normativa europea in materia di antiriciclaggio che, tra l’altro, contempla alcune deroghe in casi tassativi in cui vi può essere nocumento per il titolare effettivo che può opporsi alla pubblicazione dei suoi dati e, in ogni caso, subordina la messa a disposizione dei dati a una registrazione online del richiedente, al fine di identificare quest’ultimo nonché la trasmissione dei dati anche al titolare effettivo. Le critiche della Corte si focalizzano sul fatto che la previsione è generica e imprecisa nella individuazione dei “dati”, i quali non risultano “definiti” “né identificabili”. Quanto al bilanciamento degli interessi in gioco, la Corte ricorda che la lotta al riciclaggio spetta prioritariamente alle autorità pubbliche.
A questo punto è difficile capire in che modo e
con quali tempistiche le Autorità reagiranno a quello che è, a ogni effetto, un vuoto legislativo e quale sarà l’impatto sull’operatività corrente. Mentre in Lussemburgo e nei Paesi Bassi è stato chiuso l’accesso al pubblico ai rispettivi registri, in Italia la situazione è intricata, perché la sentenza è stata pronunciata alla vigilia dell’effettiva entrata in vigore del registro sui titolari effettivi, e anche perché a dover tener conto dei principi espressi dalla CGUE saranno, tra l’altro, le Camere di Commercio chiamate a gestire il Registro e le richieste di accesso da parte del pubblico.
Articolo tratto dal magazine We Wealth di gennaio