L’aumento dei tassi è stato considerevole, ma Powell è apparso sottotono e meno soddisfatto rispetto alle precedenti riunioni. I risultati dei rialzi condotti fin qui, infatti, sono stati poco evidenti
Se un forte rallentamento economico dovesse verificarsi prima di vedere risultati sull’andamento dei prezzi è possibile che la Fed si vedrà costretta ad alzare i tassi anche in un ambiente potenzialmente recessivo. Questo avvicinerebbe l’America allo scenario peggiore, la stagflazione
Nonostante “il recente rallentamento della spesa e della produzione”, la Federal Reserve ha deciso di innalzare il tasso sui fondi federali di 75 punti base, rispettando le attese degli analisti. Il nuovo range è 2,25-2,5%, approvato con voto unanime. Nessuna reazione scomposta sui mercati, che avevano anticipato la decisione.
“I recenti indicatori di spesa e produzione si sono attenuati. Ciononostante, negli ultimi mesi l’aumento dei posti di lavoro è stato robusto e il tasso di disoccupazione è rimasto basso”, si legge nel comunicato del Federal open market committee (Fomc), “l’inflazione rimane elevata, a causa degli squilibri della domanda e dell’offerta legati alla pandemia, all’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e dell’energia e a pressioni più ampie sui prezzi”.
Il tasso d’inflazione è accelerato su base mensile a giugno, raggiungendo un tasso annuo del 9,1%. Il mercato del lavoro ha aggiunto nuovi occupati, nel frattempo, sostenendo l’aumento delle retribuzioni. A giugno il tasso di disoccupazione è rimasto invariato al 3,6%, senza risentire delle strette monetarie finora approvate dalla Fed.
Powell: forse l’effetto dei rialzi deve ancora farsi sentire
La conferenza di Jerome Powell si è aperta con la frase cruciale della nuova fase-falco del Comitato: la Fed è determinata a riportare l’inflazione verso l’obiettivo. L’aumento dei tassi è stato considerevole, ma Powell è apparso sottotono e meno soddisfatto rispetto alle precedenti riunioni. I risultati dei rialzi condotti fin qui, infatti, sono stati poco evidenti: né i prezzi né il mercato del lavoro hanno dato segni di raffreddamento. “E’ possibile che l’effetto dei rialzi dei rialzi non sia ancora avvenuto”, ha ammesso Powell affermando che potrebbero iniziare a farsi sentire in futuro.
“La lettura dei dati sull’inflazione è stata peggiore di quanto ci aspettassimo”, ha dichiarato il numero uno della Fed, secondo il quale i tassi a fine anno potrebbero essere fra il 3% e il 3,5% con la possibilità di ulteriori rialzi nel 2023. “Dobbiamo prendere cum grano salis le attuali previsioni sui tassi perché viviamo tempi particolarmente incerti”, ha aggiunto il presidente della Fed.
Se un forte rallentamento economico dovesse verificarsi prima di vedere risultati sull’andamento dei prezzi è possibile che la Fed si vedrà costretta ad alzare i tassi anche in un ambiente potenzialmente recessivo. Questo avvicinerebbe l’America allo scenario peggiore, la stagflazione (crescita bassa o negativa, inflazione elevata).
“Abbiamo bisogno che la crescita rallenti quest’anno”, ha affermato il presidente della Fed rispondendo a una domanda sul livello oltre il quale il peggioramento della crescita potrebbe incidere sull’andamento dei tassi. La stabilità dei prezzi, ha ribadito Powell, è una priorità perché l’economia torni a funzionare e “non c’è contrasto con il mandato sulla piena occupazione” dal momento che combattere l’inflazione permetterebbe di mantenere tale obiettivo nel lungo termine.
E’ importante che entro quest’anno si impedisca che l’inflazione elevata inizi ad essere percepita come “una parte della vita” delle persone, ha sottolineato Powell proseguendo nel solco già tracciato: combattere l’inflazione è la priorità, il resto verrà dopo.