- Analizzato un campione di 35.785 società di capitali, con bilancio 2022 disponibile e ricavi tra 10 milioni e 300 milioni di euro, escluse quelle che operano nel settore edile e nei servizi finanziari
- Bratta: “Ragionare di percorsi di riassetto societario tra le diverse generazioni che operano in una azienda, con o senza il supporto di strumenti finanziari quali il debito bancario, il debito privato e il capitale di rischio, non vuol dire vendere l’azienda”
Imprese italiane verso un passaggio di testimone da 27 miliardi di euro. Secondo uno studio condotto da Scouting Capital Advisors su un campione di 35.785 società di capitali (con bilancio 2022 disponibile e ricavi tra 10 milioni e 300 milioni di euro, escluse quelle che operano nel settore edile e nei servizi finanziari), le aziende che hanno un unico socio che detiene oltre il 50% del capitale sociale sono il 69,5%. In altre parole, sette società su 10 vedono una proprietà concentrata nelle mani di un’unica controparte.
Proprietà concentrata per 7 imprese su 10
Si tratta principalmente di piccole e medie imprese, anche se – diversamente da quanto si possa credere – l’incidenza delle società con una proprietà concentrata in una singola controparte cresce al crescere della dimensione della società. Nel 95% dei casi le controparti che detengono più del 50% del capitale sono società (escluse le finanziarie e le quotate) per il 64,1% e persone fisiche per il 30,3%. Concentrandoci sulle persone fisiche, risulta evidente come circa un terzo abbia oltre 65 anni, evidenziando un potenziale tema di passaggio generazionale. Ma di che trasferimento di ricchezza stiamo parlando?
“Non è possibile ad oggi stimare il valore di mercato di tutte le società rientranti nei parametri su indicati”, dichiara a We Wealth Filippo Bratta, managing partner di Scouting Capital Advisors. “Abbiamo però provato a identificare una statistica, seppur limitata nella sua rappresentazione del valore di mercato, andando a determinare il valore di libro del patrimonio netto al 31 dicembre 2022 derivante dai bilanci approvati delle società che vedono la quota di maggioranza in mano a persone fisiche con età anagrafica superiore a 65 anni”. Tale valore ammonta complessivamente a circa 27 miliardi euro, suddivisi tra 14,7 miliardi relativi alla fascia di età tra i 65 e 75 anni e 12,6 miliardi relativi alla fascia di età superiore ai 75 anni.
Passaggio generazionale: come attrezzarsi
Secondo la società, questi risultati confermano la natura prevalentemente familiare della piccola e media impresa italiana, evidenziando la necessità di gestire il passaggio generazionale e adottare soluzioni di mercato come fusioni e acquisizioni, quotazioni in Borsa o riorganizzazioni interne, per valorizzare al meglio il patrimonio aziendale. Allo stesso tempo, tale natura familiare evoca anche tematiche di protezione, tipiche dei family office. Individuare una soluzione che possa andar bene per tutte le aziende identificate nel campione analizzato risulta difficile, dice Bratta. Sono troppo articolate le variabili personali, di business e di mercato per poter rappresentare soluzioni e percorsi che possano essere adeguate alle esigenze di tutti i soggetti coinvolti. “Possiamo però sicuramente affermare che ragionare di percorsi di riassetto societario tra le diverse generazioni che operano in un’azienda, ovvero tra i diversi soci partecipanti al capitale della stessa, con o senza il supporto di strumenti finanziari quali il debito bancario, il debito privato e il capitale di rischio, non vuol dire vendere l’azienda (evento spesso letto in modo negativo nel contesto delle relazioni personali)”, dichiara Bratta.
In più, valorizzare la propria azienda all’interno di un gruppo industriale, di maggiori dimensioni, con un presidio maggiormente strutturato dei mercati internazionali, ma soprattutto con un progetto industriale sostenibile nel lungo periodo, rappresenta un’opzione “altrettanto valida e interessante per le nostre imprese”, dice l’esperto. Poi conclude: “Diventare polo aggregante di altre aziende, sia in Italia che all’estero – condividendo quindi un progetto di sviluppo sostenibile industrialmente, economicamente e finanziariamente nel lungo periodo – passa necessariamente dal coinvolgimento di soggetti esterni alla propria famiglia quali da un lato investitori di natura finanziaria ovvero club di investitori privati che apportino il capitale necessario e dall’altro manager e professionisti in grado di portare professionalità adeguate”.