Perché non è una cattiva notizia
“Il fatto che l’Italia sia il primo mercato europeo per NPL e UTP può essere anche visto in ottica positiva – dice de Dietrich a We Wealth – perché indica che l’Italia sta facendo un buon lavoro per quanto riguarda lo smaltimento di posizioni incagliate di società in tensione finanziaria ma con solido business sottostante. Infatti, è stato fatto un grandissimo lavoro dal 2013 in poi per ridurre il peso di NPE all’interno dei bilanci bancari, a differenza di altri mercati dove è stato adottato un approccio differente. In ogni caso, la massa di crediti inesigibili e incagliati potrebbe anche rappresentare un peso per l’economia, nella misura in cui le banche dovessero assorbire perdite piuttosto importanti”.
I numeri italiani
Prima di entrare nel dettaglio del giudizio di merito, guardiamo i dati. Il Market Watch di Banca Ifis, pubblicato a gennaio (che non include quindi la proroga fino al 31 dicembre 2021 della moratoria finanziamenti PMI del DL sostegni bis), sti-ma che lo stock complessivo di NPE da gestire in Italia, già in crescita nel 2020, possa avere un’accelerazione nel biennio successivo che potrebbe portare a un ammontare totale di 441 miliardi nel 2022. Lo stock dei crediti deteriorati lordi nei bilanci bancari è previsto tornare di nuovo in aumento (+19 miliardi nel 2021 e +20 miliardi nel 2022), con un NPE ratio previsto al 7,8% nel 2022. Nel 2021 il volume di cessioni potrebbe raggiungere i 40 miliardi per i portafogli NPL e i 12 per le transazioni UtP, analoghi ai livelli dell’anno successivo.
In ogni caso, le stime attuali indicano un rilevante incremento del deteriorato nei bilanci bancari, con un tasso in crescita al 2,6% nel 2021 e al 3% nel 2022, comunque lontano dai massimi del 2013. La componente imprese guiderà l’aumento del default dei crediti. D’altronde, i danni del Covid sulle attività produttive sono noti: da quelli rilevati da Istat secondo cui tra giugno e ottobre oltre due terzi delle imprese italiane (il 68,4% del tota-le) hanno avuto riduzioni di fatturato rispetto allo stesso periodo del 2019. Il 32,4% (con il 21,1% di occupati) ha segnalato rischi operativi e di sostenibilità della propria attività e il 37,5% ha richiesto il sostegno pubblico per liquidità e credito, ottenendolo nell’80% dei casi. Ciononostante, le imprese italiane cercano di riprendere quota.
Imprese in chiaroscuro
Lo Studio Pagamenti elaborato da Cribis, società del gruppo Crif aggiunge che nel corso del 2020 “le imprese che hanno pagato i loro fornitori con oltre 30 giorni di ritardo sono aumentate del 21,9% rispetto al 2019 sa-lendo così al 12,8% totale. Nonostante questo, alla fine dello scorso anno, la puntualità delle aziende italiane è migliorata dal 35 al 35,7% facendo guadagnare al nostro Paese una posizione a livello europeo (dal 17° al 16° posto) e due al livello mondiale (dal 25° al 23° posto)”.
E infine Banca d’Italia, rileva che grazie alle misure governative approvate tra marzo e agosto, il numero delle aziende in deficit di liquidità si sarebbe ridotto da 142.000 a circa 32.000, mentre il fabbisogno complessivo sarebbe sceso da 48 a 17 miliardi. Le misure di sostegno avrebbero inoltre consentito di ridurre l’incidenza delle società di capitali in deficit patrimoniale (con patrimonio netto inferiore ai limiti legali) dal 14 al 12%, a fronte del 7 precedente la crisi.
È inevitabile che le imprese continuino a indebitarsi, ma sarebbe opportuno come suggerisce Banca d’Italia, per le imprese materialmente esposte “al rischio di insolvenza ma con prospettive di rilancio nel medio periodo, sarebbe opportuno incentivare la ristrutturazione dei debiti attraverso procedure idonee a garantire la continuità delle attività aziendali, inclusi i rapporti di finanziamento, e l’efficiente composizione degli interessi dei creditori coinvolti”.
Le due facce degli Npe italiani
Dunque, per avere un quadro completo del mercato italiano, vale la pena dividerlo in due categorie: la prima consiste in aziende che dispongono di asset produttivi in salute e con potenziale di sviluppo ma gravate da stress finanziario e procedure giudiziarie che, senza un intervento terzo , porteranno inevitabilmente al fallimento.
“L’altra situazione è quella di pmi a cui le banche, per questioni regolamentari e prassi sulle politiche di valutazione maggiormente restrittive, non erogano credito – dice l’esperto di Negetropy – un fondo di Private Debt invece, avendo maggiore flessibilità ed adottando un approccio maggiormente equity-like, riesce ad erogare credito più liberamente. In Italia, rispetto ad altri mercati come Germania e Francia, le PMI incontrano maggiori difficoltà nell’ottenere finanziamenti alternativi.
La polvere sotto il tappeto
Il Covid-19 ha reso il sistema ancora più farraginoso, posticipando problemi che emergeranno una volta abolito il blocco dei licenziamenti e la CIGS di emergenza. “La nostra grande paura è che con la fine delle misure di sostegno si assisterà ad un forte aumento di NPE. All’interno di questo scenario, turismo, ristorazione e i settori che sono stati maggiormente colpiti, soffriranno esponenzialmente. Occorre tuttavia menzionare la presenza di settori (come l’e-commerce) che in questa fase hanno sperimentato una forte crescita.
Affrontare i problemi è necessario se si vuole far ripartire l’economia. “Ridurre la durata delle procedure concorsuali e avere un atteggiamento più proattivo e meno reattivo nella gestione di crediti deteriorati potrebbe sicuramente portare dei benefici e accelerare la ripresa dell’economia– dice de Dietrich – Per esempio, negli Usa dove i fallimenti sono gestiti in maniera più efficiente rispetto all’ Europa, si osserva una più rapida ripresa”.
L’intervento del Private Debt può essere dunque determinante. E de Dietrich lo spiega con un paio di esempi. “Il primo è rappresentato da un’impresa costruttrice che aveva comprato un’area edificabile piuttosto unica a Roma e che, dopo una fase di sviluppo immobiliare, è entrata in procedura 182-bis a causa di un eccessivo indebitamento. Chi compra il credito, al fine di estrarre valore, rivende l’area edificabile con conseguente ripresa dell’attività di costruzione, rimettendo in moto l’economia locale.”. Il secondo esempio è rappresentato da una pmi con prodotti e/o servizi ad alto valore aggiunto, ma in stress finanziario perché proprietaria di asset non strategici e viziati da debito, da cui le banche, non distinguendo la componente operativa da quella immobiliare, non riuscivano a valorizzare in maniera adeguata. “In questo caso, l’intervento di un fondo di Private Debt è essenziale al fine di sbloccare la situazione e creare valore per tutti gli operatori coinvolti.