Si calcola che in media nell’early stage financing (il round A), per ogni 1.000 imprenditori che presentano un business plan agli investitori istituzionali, 100 vengono ritenuti interessanti per fissare un incontro; 50 vengono sottoposti a una due diligence approfondita; 10 si trasformano in investimenti
A partire dal round B, invece, la selezione è meno spietata perché ci si rivolge a un parterre di start up già evolute che mirano a diventare scale-up. Dopo una prima fase di early growth (fino al round C) si entra nel sustained growth, che porta le migliori aziende innovative a diventare unicorni (a valore cioè un miliardo di dollari)
Infatti, è molto raro che l’investitore professionale intervenga nella fase di pre-seed, che è quella in cui esiste solo un’idea che si vuole trasformare in impresa. In quel momento in cui lo stadio dell’impresa è solo embrionale ed esiste poca struttura, in genere a crescerci sono solo i FFF (family, friends and fools): famiglia, amici e folli che investono capitali propri sulla fiducia. I più fortunati tra gli aspiranti imprenditori possono avvalersi del lavoro di un incubatore (abbiamo visto quali sono ii principali in Italia qui), dove l’impresa viene costruita on the stage in collaborazione tra l’ideatore e professionisti di organizzazione aziendale e ingegnerizzazione.
Un’analisi realizzata negli Stati Uniti a metà degli anni ’80 e pubblicata sul periodico Venture Capital Journal sosteneva che, relativamente alle startup e agli early stage financing, ogni 1.000 imprenditori che presentano un business plan agli investitori istituzionali, 100 vengono ritenuti interessanti per fissare un incontro; 50 invitano a eseguire una due diligence approfondita; 10 si trasformano in investimenti. Secondo gli esperti, questa proporzione è tutt’ora valida: per cui, evidentemente, riuscire a convincere un venture capital in fase iniziale è particolarmente arduo.
I finanziamenti di Round B, invece, sono probabilmente più accessibili, perché riguardano un universo di startup già in qualche modo selezionate. Si tratta di start-up di media dimensione, che vogliono passare alla fase di scale-up, acquisendo altre società, entrando in nuovi mercati geografici o merceologici.
In questo caso si parla di expansion financing, per indicare l’investimento in capitale di rischio finalizzato alla crescita di un’impresa e non al suo avviamento. I round A e B rientrano nella fase early growth, in cui si lavora sul modello aziendale, sulla strategia commerciale per espandere il mercato e iniziare a pensare all’internazionalizzazione. A essa segue la sustained growth, in cui il fatturato aumenta esponenzialmente e l’azienda trova una sua solidità strutturale. Nella fase della crescita sostenuta anche il fabbisogno di capitale scala e l’impegno dei venture capital.
Se l’investimento in seed capital è tra i 100.000 e i 150.000 euro, lo startup financing nell’early stage rientra in Italia in un range tra i 700mila e il milione di euro. Un fondo di venture capital in genere contiene aziende in diversi stadi di sviluppo, il che consente anche di avere un certo bilanciamento utile al rendimento finale del paniere.
L’apertura del capitale di un’impresa a un socio istituzionale determina importanti cambiamenti nell’azienda oggetto di investimento, come ricorda Secondo la Guida al Venture Capital di Aifi. Il venture capital compirà una serie di azioni tese a migliorare la trasparenza e la qualità della comunicazione dell’impresa, a professionarlizzarla con l’ingresso di manager e a renderla più efficiente, con l’obiettivo finale di creare valore. L’operatore di venture capital tipicamente lascia la gestione ordinaria in capo all’imprenditore ma interviene nelle scelte strategiche; chiede massima trasparenza e monitoraggio per poter apportare eventuali correttivi in caso di errore e, sopra ogni cosa, si attende un “colloquio leale, aperto e costruttivo, e una totale trasparenza, nell’interesse dello sviluppo aziendale”.