Con la regia e la scrittura di Jean-Luc Godard e la co-sceneggiatura di François Truffaut, il film Fino all’ultimo respiro del 1960 non sarebbe che potuto diventare – nel futuro – un feticcio da asta. E così è successo. Dal 4 al 18 giugno 2025, sul sito di Sotheby’s Parigi sarà aperta una speciale vendita dedicata proprio a una parte consistente della sceneggiatura della pellicola À bout de souffle (questo il titolo originale della pellicola). Il lotto comprende 72 pagine autografe del regista Jean-Luc Godard, le immagini di parte del trailer nonché vari documenti e fotografie di uno dei film simbolo della Nouvelle Vague. Cimeli che provengono dalla collezione personale del produttore del film, Georges de Beauregard, deceduto (è la sua famiglia a metterli all’asta). La stima? Nella forchetta di 400.000-600.000 euro.

Tutte le foto di questo articolo sono cortesia di Sotheby's
Godard in asta, un manoscritto seminale
Breathless è il primo lungometraggio del cineasta e uno dei primi e più influenti esempi di cinematografia della Nouvelle Vague. Fu il film con cui i protagonisti Jean-Paul Belmondo Jean Seberg sfondarono nel firmamento dello spettacolo. Il primo come attore, la seconda come icona della moda. Ancora oggi resta una delle uscite cinematografiche più influenti del XX secolo.
Le pagine del manoscritto che era in possesso di Georges de Beauregard, finora inedito, sono disseminate di sinossi delle scene e dei dialoghi che ripercorrono molte delle scene più celebri di Fino all’ultimo respiro. Vi figurano la drammatica sequenza d’apertura, le scene a Marsiglia, il ritorno a Parigi, il personaggio di Seberg, Patricia, che vende il New York Herald Tribune sugli Champs-Élysées, il personaggio di Belmondo, Michel, che entra nella cabina telefonica. Nonché l’alterco con il motociclista e la fulminante battuta finale di Seberg (“Qu’est-ce que c’est dégueulasse?”).

I manoscritti di Godard sono eccezionalmente rari. Per dire: scrisse i dialoghi del film all’ultimo momento, al mattino di ogni giorno delle riprese, che si svolsero dal 17 agosto al 15 settembre 1959. Voleva infatti che gli attori facessero vivere il personaggio nel modo più naturale possibile, e spesso distruggeva gli appunti scritti appena dopo il loro utilizzo.
Pilastro della Nouvelle Vague, Beauregard fu vicino non solo a Godard, ma anche a Truffaut e a tutti gli altri grandi nomi della scena cinematografica avanguardista, ottenendo premi e diversi cinema parigini intitolati a suo nome. Senza di lui, À bout de souffle non avrebbe mai visto la luce. Beauregard acconsentì a produrre il film con la lettura di appena quattro pagine di sinossi dell’allora sconosciuto Godard, solo perché l’autore risultava essere l’amico Truffaut, allora già famoso. Il resto, è storia. Breathless fu girato tra le strade di Parigi, usando quasi solo luce naturale.

La Nouvelle Vague
Ma cos’era la Nouvelle Vague? Letteralmente “Nuova Onda”, questa idea francese di cinema nacque sul finire degli anni Cinquanta, esaurendosi nei primi Sessanta. Fu un fenomeno estetico e cinematografico complesso, i cui maggiori esponenti furono, oltre che François Truffaut e Jean-Luc Godard, Claude Chabrol, Eric Rohmer, Jacques Rivette. In alcuni casi all’inizio la definizione era quasi dispregiativa, volta a indicare una certa sciatteria nella realizzazione artistica dei film. I gestori dei cinematografi dell’epoca ricorrevano alla formula “Nouvelle Vague” per identificare i film di registi giovani e spesso improvvisati, poco professionali, ma comunque capaci di sorprendere. Solo successivamente l’espressione si impose come denominazione del movimento.
Provocatoriamente, nel 1962, Truffaut affermava che l’unica caratteristica che accomunava tra loro gli esponenti della Nouvelle Vague era la passione per i biliardini elettrici. «La Nouvelle Vague non è né un movimento né un gruppo», diceva «ma un concetto di quantità. È una denominazione collettiva inventata dalla stampa per indicare i nomi dei cinquanta nuovi registi emersi in soli due anni in un campo professionale in cui in precedenza non si accettavano più di tre o quattro nuovi nomi all’anno» (in “Cahiers du cinéma”, Décembre 1962, 138, come riporta la Treccani).