La prima verifica che occorre fare quando si affronta la tematica della diseredazione in Italia è se la disposizione testamentaria che la contiene riguarda – oppure no – i legittimari, ovverosia i più stretti congiunti del defunto a cui spetta inderogabilmente una quota del patrimonio ereditario dello stesso (la cosiddetta quota legittima o riserva) e che sono identificati nel coniuge (o nella persona unita civilmente), nei figli e, ove al de cuius non sopravvivano figli né discendenti, anche negli ascendenti di quest’ultimo.
Il diritto alla legittima riconosciuto a tali soggetti (definiti anche “eredi necessari”) è intangibile, non potendo il testatore comprometterlo con la sua volontà contraria. Pertanto, la diseredazione di un legittimario non è ammissibile nell’ordinamento giuridico italiano (è il caso di Mario e Agata), discutendosi al riguardo se la relativa disposizione testamentaria debba essere considerata nulla per contrarietà a norme imperative – in quanto confliggente sia con l’art. 549 c.c. che sancisce il divieto per il testatore di imporre pesi o condizioni sulla quota dei legittimari, sia con l’art. 457 co. 3 c.c. per il quale le disposizioni testamentarie non possono pregiudicare i diritti che la legge riserva ai legittimari – ovvero valida ma impugnabile dal legittimario con l’azione di riduzione nei confronti degli eredi testamentari o, in loro assenza, dei successibili per legge del defunto. Stando così le cose, potrebbe essere tuttavia consentita la disposizione testamentaria con cui il testatore esclude il legittimario dalla quota disponibile (ossia, la quota del patrimonio del testatore di cui questi può disporre liberamente), impedendogli di ottenere più di quanto gli spetti per legge quale quota di riserva.
L’unica fattispecie di diseredazione di un (potenziale) legittimario ammessa è quella disciplinata dall’art. 448 bis c.c. che statuisce, tra l’altro, che il figlio – ovviamente maggiorenne per avere capacità di testare e privo di discendenti perché altrimenti il suo genitore non potrebbe essere qualificato come legittimario – possa escludere dalla propria successione il genitore stesso (è il caso di Matilde e Tullio) nei confronti del quale è stata pronunciata la decadenza dalla responsabilità genitoriale ma soltanto per i fatti che non integrano i casi di indegnità a succedere di cui all’art. 463 c.c. e che, nella sostanza, si riducono alle sole ipotesi di sentenza di condanna del genitore all’ergastolo o per il reato di mutilazione degli organi genitali femminili.
Pacificamente ammessa è invece la disposizione testamentaria di diseredazione di un successibile non legittimario (è il caso di Francesca e Callisto), anche quando costituisca l’unico contenuto dell’atto di ultima volontà. Essa, infatti, ha come effetto quello di circoscrivere la successione ai soli successibili non diseredati, sostanziandosi in una disposizione mortis causa di carattere patrimoniale (ancorché volta a escludere dalla successione un erede, piuttosto che ad istituirlo e attribuire allo stesso una quota del patrimonio) non lesiva dei diritti riconosciuti dalla legge agli eredi necessari. Laddove tale disposizione di diseredazione sia contenuta in un testamento che includa anche disposizioni istitutive di eredi (finalizzate, quindi ad attribuire beni ad altri soggetti), servirà per il mero compiacimento del testatore, non andando a incidere sul contenuto attributivo del testamento; viceversa, ove essa sia l’unica disposizione del testamento, il contenuto di quest’ultimo sarà integrato con le regole della successione legale a vantaggio degli eredi legittimi, ma con l’estromissione di quelli diseredati.