Storicamente gli italiani hanno sempre mantenuto un legame strettissimo con la propria abitazione, difficilmente riscontrabile in altre società avanzate.
La casa ha rappresentato un simbolo del vincolo tra generazioni, un patrimonio costruito con il lavoro, che veniva poi tramandato ai figli e ai nipoti.
Questo valore era assolutamente indiscusso sino a che, negli ultimi anni, la società non è stata attraversata da una serie di cambiamenti radicali, che hanno inciso profondamente in vari ambiti. In passato, un lavoro stabile era un’opportunità che giungeva di frequente e l’acquisto di una casa rappresentava il coronamento dei sacrifici fatti, un fattore fondamentale della costruzione dell’identità della persona e della famiglia.
Le nuove generazioni – in particolare i Millennials – vivono una vita molto differente dai loro genitori. Sono generazioni Erasmus, cresciute spostandosi con Ryanair, attente a coltivare lo studio di più lingue, tra le più scolarizzate che l’Italia abbia avuto in passato, che, d’altro canto, hanno dovuto metabolizzare la necessità di muoversi per raggiungere delle opportunità migliori e concetti come la precarietà e la temporaneità di un’occupazione.
Queste novità influiscono certamente sul modo di “sentire” la casa, che non è più percepita come un bene di famiglia, da conservare e tramandare. Anzi, oltre a non creare “appartenenza”, non deve costituire un ostacolo alla mobilità.
Dalle ricerche emerge che la casa per i trentenni è soprattutto un servizio, un modo di vivere in un contesto, uno strumento che serve a soddisfare al contempo più esigenze. Deve essere un luogo modulabile, per abitare, ma anche per lavorare. Può essere di superficie contenuta, ma fondamentale è la location, che deve offrire opportunità di socializzazione e lavoro. Uno spazio fluido, che possa essere utilizzato per il tempo necessario e che possa essere facilmente cambiato – adatto a una società che, appunto, è stata definita “liquida”, con famiglie ad assetto variabile, senza il commitment di una vita.
Ecco che sono state identificate le nuove definizioni della casa “taxy”, della casa “tenda” che – pur se ipertecnologica e connessa – sta sempre più prendendo il posto del mattone nella rappresentazione della nostra società.
È evidente che questo trend determini un prepotente ritorno alla locazione di immobili, che infatti – beneficiando di rapporti sempre più modulabili e temporizzati – sta acquistando sempre più interesse, anche per gli investitori istituzionali.
Ma quali altre possibilità potrebbe cercare di soddisfare questa nuova tendenza, senza limitarsi alla locazione?
Una misura utile potrebbe essere quella di ulteriormente agevolare la fiscalità delle permute immobiliari, sia di quelle tra privati (dove la fiscalità resta alta, se uno dei due immobili non è prima casa), sia di quelle tra privati e operatori, che potrebbero offrire in permuta case più “verdi” e tecnologicamente avanzate, impegnarsi poi a rimettere sul mercato, una volta riqualificate, abitazioni più energivore di vecchia realizzazione.
Altra iniziativa utile potrebbe essere agevolare, per gli immobili residenziali, la fiscalità del rent to buy, il patto di futura vendita, in linea con quanto è stato recentemente fatto per il leasing abitativo.
In ogni caso, per rendere davvero appetibile per gli investitori l’asset class dell’immobiliare residenziale a reddito, occorrono adeguate misure di protezione di tale investimento nel lungo periodo, sia di natura processuale, rispetto alla morosità colpevole, sia di natura fiscale, per renderla competitiva con gli altri paesi avanzati.