La storica dipendenza delle imprese italiane dal finanziamento bancario stia diminuendo, come testimonia l’ultimo rapporto Rapporto Cerved 2019: il 40,1% delle imprese, contro il 42,5% di un anno prima, ha autofinanziato la propria attività nel 2019 (nel 2009 la quota era del 29%)
Secondo Bankitalia, il credito bancario alle imprese è passato dai 914 miliardi di euro di novembre 2011 ai 726 del 2017, ai 668 miliardi di aprile del 2019. Le banche sono state costrette dalle regole di Basilea a prevedere accantonamenti maggiori, a parità di ogni altra condizione, in base alla dimensione delle aziende a cui erogano credito
“Le società normalmente lavorano a debito, nel senso che i flussi di cassa in entrata non sono tali da finanziare l’attività futura. Per ottenere credito c’è la banca, ma anche fonti alternative come i minibond, la Borsa oppure ci si può rivolgere ai soci”, dice Busani. “Il finanziamento dei soci può essere più conveniente nelle società a ristretta base sociale, dove si tratta di una prassi consolidata. Se il flusso di cassa in entrata non è in grado di reggere l’attività della società per qualsiasi scopo di cassa o investimento si può attingere a questo strumento”.
Come funziona dal punto di vista procedurale? “Molto semplicemente, l’amministratore della società si rivolge ai soci, prospetta la situazione, stipula un contratto, che nelle piccole realtà è spesso verbale e nelle grandi è più probabilmente scritto, in cui vengono specificate le condizioni. Il finanziamento soci si può richiedere un numero illimitato di volte e ricade nella disciplina del codice civile al capitolo mutui”, precisa il notaio.
Se i vantaggi per i soci sono essenzialmente ravvisabili nella protezione della società da eventuali insolvenze – oltre che nella rara eventualità di ottenere un interesse – quelli per la società sono evidenti. “Si sostanziano nella possibilità di avere prestiti a prescindere dal mercato oppure di averli a un costo più conveniente”, chiarisce Busani.
Anche eventuali criticità insorgono più che altro in capo ai soci, e difficilmente in capo alla società. “In base all’articolo 2.467 del codice civile – dice Busani – gli amministratori non possono restituire i finanziamenti ai soci prima di aver liquidato tutti i creditori, sia quando il finanziamento erogato dai soci si configura come patrimonio che come capitale di debito, ovvero il più delle volte. Le società italiane sono endemicamente sottocapitalizzate: ma per svolgere le proprie attività devono avere capitale per non essere in affanno. Anche ai fini dell’ottenimento di credito bancario, la questione di una adeguata capitalizzazione è cruciale. Il patrimonio è capitale di rischio: ovvero qualcosa che soci sono disposti a perdere, mentre guadagnano sugli utili derivanti dall’attività della società”.