I mercati, che a inizio 2023 erano partiti sulle ali dell’entusiasmo, si sono impantanati in un percorso più accidentato del previsto: non perché l’economia sia rallentata come temuto, anzi. I prezzi continuano a salire, perlomeno quelli relativi a beni e servizi non legati all’energia. La virata nelle aspettative su quelle che saranno le future mosse delle banche centrali ha fatto risalire i rendimenti obbligazionari ai massimi dell’ultimo periodo. Per il Btp decennale il rendimento è passato dal 3,7% dello scorso 2 febbraio al 4,37% del 21 dello stesso mese.
Su entrambe le sponde dell’Atlantico l’inflazione di fondo preoccupa le banche centrali. Quando questo si verifica, la risposta di politica monetaria che si rende necessaria, di solito, non piace ai mercati: tassi d’interesse più alti. Ancora il 27 febbraio la presidente della Bce, Christine Lagarde, ha rafforzato il messaggio “falco” in un’intervista rilasciata al giornale indiano The Economic Times: “Se necessario, faremo ulteriori aumenti per riportare l’inflazione al nostro obiettivo del 2% in modo tempestivo. Ci vorrà quello che ci vorrà”, ha detto Lagarde, “quello che so è che riporteremo l’inflazione al 2%. E vogliamo non solo riportarlo al 2%, ma mantenerlo in modo sostenibile”.
Le “aspettative inflazionistiche e i relativi tassi base di riferimento faticano ad agganciarsi su livelli già prezzati dal mercato”, ha scritto il consulente Edoardo Fusco Femiano (DLD Capital Scf), nella sua ultima nota settimanale, “i rendimenti sui titoli di stato dell’Eurozona sono tornati recentemente sui massimi di settembre e anche i future sui Fed Funds oggi scontano al 77,2% un tasso di riferimento compreso nel range 5,25-5,75%, in netto rialzo rispetto al mese precedente”. La maggioranza degli analisti aveva previsto un tasso terminale della Fed entro il 5,25%. Non solo: le aspettative del mercato indicavano due tagli dei tassi, da parte della banca centrale americana, già entro il 2023. “C’è la possibilità di superare” un tasso sui fondi federali “del 6%”, ha affermato Calvin Tse, responsabile della strategia macro americana di Bnp Paribas, “se i dati continueranno a migliorare, c’è la possibilità che la Fed sia in ritardo rispetto alla curva e che i tassi dovrabbi salire più del previsto”.
Con il tramonto della speranza sul taglio dei tassi nel 2023, l’impatto sui prezzi di bond e azioni è stato evidente. L’indice Bloomberg che traccia il valore delle obbligazioni ad alto rating ha cancellato, al 23 febbraio, il progresso del 4% che aveva ottenuto nelle prime settimane dell’anno.
“La speranza di tutti sarebbe quella di confrontarsi con un quadro del mercato azionario e obbligazionario in netto miglioramento, così come è avvenuto da inizio anno”, ha affermato, Fusco Femiano, “la realtà più recente, tuttavia, è quella di un contesto di tassi d’interesse in rialzo e ciò è un segnale indiscutibilmente negativo, con ripercussioni su tutte le asset class”.
In particolare, per le obbligazioni l’aumento dei rendimenti sembrava aver perso slancio con il raggiungimento del picco dell’inflazione in America e in Europa. In questo scenario la scommessa sull’acquisto dei bond, uno dei grandi trend di inizio anno, potrebbe essersi rivelato prematuro se sarà vero che il taglio dei tassi non è assolutamente all’orizzonte.
Con i tassi in rialzo conviene comunque investire nei bond? Come si può neutralizzare l’effetto negativo sui tassi, ottenendo un ritorno interessante?
Con il servizio Chiedi agli esperti di We Wealth puoi contattare gratuitamente un professionista che ti potrà guidare nella scelta dei migliori investimenti e nella gestione del tuo patrimonio. Fai una domanda a uno dei 300 esperti disponibili su We Wealth.
Mercati in ritirata, come intervenire sui portafogli
Nel 2022 nei portafogli bilanciati la correlazione fra obbligazioni e azioni, che di norma si muovono in modo opposto, è scoppiata in mano agli investitori. Anche se quest’anno è partito con un grande risultato per il portafoglio 60/40, la tradizionale diversificazione continua non fare il suo dovere, ridurre la volatilità degli investimenti. “Il problema è che azionario e obbligazionario restano molto correlati: di conseguenza, è praticamente impossibile difendersi”, ha affermato Fusco Femiano, “se non in termini relativi, accorciando molto la duration del portafoglio obbligazionario”.
“Da qualche tempo a questa parte, in linea con quanto abbiamo osservato nel 2022, siamo tornati a vedere rialzi del mercato azionario accompagnati da relativa debolezza dell’obbligazionario e questo genere di dinamica non rafforza l’idea che l’equity abbia già toccato il suo minimo di periodo. Affinché ciò accada (Ndr. ovvero che il minimo sia già stato toccato) è fondamentale che i rendimenti tornino a scendere e non è quanto osserviamo oggi”, ha dichiarato Fusco Femiano a We Wealth.
Quali soluzioni operative sono praticabili in uno scenario che sembra rivangare i dolorosi ricordi dell’anno scorso? “Ad una dinamica rialzista dei tassi d’interesse si può rispondere muovendo parte dell’allocazione azionaria dal growth al value ma si tratta di manovre sostanzialmente di contenimento”, ha detto il consulente, facendo capire che il clima ribassista potrebbe colpire entrambe le categorie negativamente. E, a differenza di quanto osservato nel 2022, “anche le materie prime stanno performando debolmente, senza considerare la complessità nel gestirne la posizione in portafoglio, soprattutto in termini di volatilità”.
Rendimenti elevati sui bond, per chi entra adesso, però, possono offrire qualche opportunità in più. “L’obbligazionario, in questa fase, è una buona opportunità per chi sceglie di acquistare singole emissioni obbligazionarie, con duration in linea con l’orizzonte del cliente, disponendo di liquidità. Purtroppo, per chi si ritrova investito in fondi o Etf con duration medio lunghe, dopo la flessione del 2022, non si intravedono miglioramenti nel breve termine”.