- La correlazione tra azioni e bond si è rafforzata di più nei periodi in cui l’inflazione è stata a due cifre e si è mantenuta elevata per almeno tre anni
- Arnott: “Finché le prospettive dell’inflazione e dei tassi resteranno incerte, la correlazione tra azionario e obbligazionario rimarrà probabilmente più elevata che in passato”
Azioni e bond: chi vince e chi perde con un’inflazione in crescita? La risposta è tutt’altro che banale. Ma facciamo un passo indietro. Come ricorda Morningstar in una recente analisi dal titolo What higher inflation means for stock/bond correlations, la ripresa dell’inflazione iniziata nella primavera del 2021 ha reso le condizioni di mercato decisamente più complesse. La variazione annua dei prezzi al consumo, negli Stati Uniti, è salita oltre il 7% alla fine di quell’anno e ha toccato il 9% a metà del 2022. Le pressioni inflazionistiche si sono attenuate nel corso del 2023, ma non abbastanza da avvicinarsi all’obiettivo del 2% della Federal Reserve.
“Una brusca inversione di tendenza”, osserva Amy C. Arnott, portfolio strategist di Morningstar Research Services e autrice dell’analisi. Durante la maggior parte dei 30 anni precedenti, le condizioni era state infatti “insolitamente benigne”, dice l’esperta. A parte un breve aumento verso la metà degli anni 2000, l’inflazione si è tenuta al di sotto della sua media storica di lungo periodo, vicina al 3,2%. “Un’inflazione più bassa della media, a sua volta, ha creato condizioni quasi ideali per la correlazione tra azioni e obbligazioni”, afferma Arnott. “Con l’inflazione quasi del tutto assente, si sono mosse in modo del tutto indipendente; infatti, le correlazioni a tre anni tra azioni e obbligazioni sono state costantemente negative (o appena sopra lo zero) dal novembre del 2000 al 2020”, aggiunge.
Inflazione: cosa succede se aumenta di almeno il 5%
“Poiché quelle condizioni sono ormai un lontano ricordo, non dovrebbe sorprendere che la correlazione tra le performance di azioni e obbligazioni sia nettamente aumentata”, afferma l’esperta. È passata infatti in territorio positivo nel 2021, per poi schizzare a 0,58 durante tutto il 2022 e il 2023. Una tendenza a rialzo che trova riscontro anche nella storia. Per dimostrarlo, Morningstar ha esaminato la correlazione tra le due classi di attivo in specifici periodi di maggiore inflazione, intesi come periodi in cui l’inflazione su base annua è aumentata di almeno il 5% ed è rimasta elevata per almeno sei mesi.
Come evidenziato nella tabella sottostante, la correlazione tra azioni e bond si è rafforzata in alcuni casi, ma non in tutti. In linea di massima, è cresciuta di più nei periodi in cui l’inflazione è stata a due cifre e si è mantenuta elevata per almeno tre anni. Per esempio, dopo la Seconda guerra mondiale si è assistito a un’impennata insolitamente elevata dell’inflazione, ma la crescita dei prezzi al consumo è durata soltanto per un anno. Tra il 2007 e il 2008 la crescita economica cinese ha alimentato una dinamica simile, ma l’inflazione è rimasta al di sotto del 6% ed è durata meno di un anno.
Azioni e bond marciano in tandem: e adesso?
“I rialzi più drammatici delle correlazioni si sono verificati da febbraio 1966 a gennaio 1970 (grazie al basso tasso di disoccupazione e all’impennata della crescita economica) e da febbraio 1977 a marzo 1980 (a causa dell’impennata dei prezzi del petrolio, dell’embargo petrolifero e dei relativi shock sui prezzi e delle politiche monetarie espansive)”, ricorda Arnott. Nei rispettivi periodi, la correlazione tra azioni e bond ha raggiunto di fatto lo 0,26 e lo 0,28. “Da questi schemi si possono trarre un paio di lezioni fondamentali”, conclude Arnott. “Innanzitutto, il contesto in cui si trovano sia l’inflazione che i tassi di interesse è radicalmente cambiato. Finché le prospettive dell’inflazione e dei tassi resteranno incerte, la correlazione tra azionario e obbligazionario rimarrà probabilmente più elevata che in passato”. Tuttavia, rassicura, questo non significa che gli investitori debbano evitare i bond: possono infatti offrire ancora “significativi vantaggi di diversificazione”, oltre a contribuire a ridurre il rischio a livello di portafoglio complessivo.