L’autocertificazione apre (davvero) alla libera circolazione di opere d’arte?
Sei un collezionista privato, mercante, o casa d’asta e vuoi esportare delle opere di valore inferiore a 13.500 euro? Ora con l’entrata in vigore della soglia di valore dovresti poterlo fare in modo più semplice e diretto.
Il primo dicembre 2020 è una data importante per la storia della tutela dei beni culturali e del mercato dell’arte in Italia: dopo oltre tre anni di attesa dall’introduzione in Italia della cosiddetta soglia di valore, finalmente il regime dell’autocertificazione introdotto dalla Legge 124/2017 è stato introdotto nel Sue, il sistema informativo online del MiBACT. Spieghiamo meglio: la soglia di valore di euro 13.500 è quella sotto la quale cose di interesse artistico di autori non più viventi create oltre 70 anni fa possono uscire definitiva- mente dal territorio italiano senza un’autorizzazione (attestato di libera circolazione).
L’autocertificazione invece riguarda i beni di autori non più viventi realizzati meno di 70 anni fa, che il privato intende esportare: in tal caso basta che l’interessato dichiari allo Stato questo dato insieme alle informazioni specificamente previste nei Modelli E1 (per i beni artistici) ed E2 (per i beni librari): tra cui il titolo di acquisto, il valore e lo stato di conservazione.
L’autocertificazione sostituisce l’autorizzazione. Lo Stato, tuttavia conserva la potestà di tutelare il bene, impedendone l’uscita definitiva dal territorio, qualora antro 60 giorni dalla data di inserimento dell’autocertificazione nel Sue e con le garanzie di un procedimento che garantisca il contraddittorio con l’interessato, dichiari il bene di eccezionale importanza per la completezza e l’integrità del patrimonio culturale della Nazione.
Ma come si dimostra che un determinato bene ha un valore sotto la soglia? E può lo Stato bloccare l’esportazione del bene anche dopo il decorso del termine di 60 giorni?
Giuseppe Calabi
Il Decreto Ministeriale 246/2018 ha stabilito regole precise sulla documentazione che bisogna allegare all’autocertificazione per provare che il bene oggetto della stessa sia sotto soglia.
Se la cosa è stata oggetto negli ultimi tre anni di una vendita all’asta o mediante trattativa privata, oltre alle fotografie sarà necessaria la fattura da cui risulti il prezzo, al netto di oneri (commissioni, diritti di seguito, spese di trasporto ed assicurative). Se la vendita è avvenuta tra privati – sempre negli ultimi tre anni – sarà sufficiente una copia del contratto o, in mancanza, una dichiarazione congiunta delle parti davanti ad un pubblico ufficiale. Se la cosa è esportata per essere venduta all’asta, occorrerà una foto del catalogo d’asta, ovvero del mandato a vendere da cui risulti che la stima massima è inferiore a 13.500 euro ovvero una dichiarazione in tal senso sottoscritta dalla casa d’aste.
In ogni altro caso, si potrà allegare una dichiarazione di un perito iscritto all’albo dei Ctu di un tribunale ovvero si potrà affidare alla stima dell’ufficio esportazione.
Come indicato in premessa, resta il controllo degli uffici esportazione che potrà accertare la sussistenza di un interesse eccezionale per l’integrità e la completezza del patrimonio culturale della Nazione. Il termine ha una indubbia natura perentoria. Il Decreto ministeriale 246 è chiaro e non lascia spazio a proroghe o ritardi: l’autorità competente adotta il provvedimento entro 60 giorni. Tuttavia il Ministero, nell’applicazione delle autocertificazioni per i beni di età tra 50 e 70 anni, ha interpretato il termine come meramente ordinatorio. Il Ministero inoltre ritiene che quando l’interessato presenti un’autocertificazione implicitamente chieda un permesso di esportazione e qualora l’Ufficio Esportazione ritenga di attivare il procedimento di dichiarazione di eccezionale interesse, debba pronunciare un diniego di esportazione.
Questa interpretazione è contra legem perché di fatto equipara le autocertificazioni alle richieste di licenza di esportazione. Infatti, quando presento un’autocertificazione assumo la responsabilità, anche penale, di quanto dichiaro. Se il Ministero intende tutelare il bene in quanto “eccezionale” deve farlo necessariamente entro 60 giorni. La notifica del bene ne determina l’inesportabilità. Se invece entro 60 giorni dalla presentazione non si conclude il pro- cedimento di notifica il bene dovrebbe poter uscire. In sostanza, nel mondo delle autocertificazioni, non vi è spazio per ulteriori “dinieghi di esportazione” e non si può ritenere che la legge “implicitamente” li preveda a danno della proprietà privata. L’auspicio è che il Ministero fornisca chiarimenti.
Un problema ulteriore che si sta ponendo è quello dei beni con va- lore sotto soglia per i quali sia ancora pendente la richiesta di atte- stato di libera circolazione a seguito del notevole arretrato di lavo- ro durante il lockdown: il principio per cui l’azione amministrativa deve osservare la legge in vigore al momento dell’emanazione del provvedimento (tempus regit actum) dovrebbe imporre che per tali beni le procedure in corso si estinguano si applichi il regime dell’autocertificazione. Alcuni Uffici Esportazione invece ritengo- no che per tali beni si applichi il vecchio regime autorizzativo, con conseguente ultrattività di una norma abrogata oltre tre anni fa. Anche su questo punto è auspicabile un chiarimento del Ministero al fine di evitare contenziosi lunghi, costosi e defatiganti.
Sharon Hecker
Il concetto di valore espresso dalla norma appena entrata in vigore si può prestare a due diverse chiavi di lettura: il valore di mercato e il valore storico. Queste due forme di valore per i beni culturali non sempre coincidono e non sono sempre facilmente verificabili.
Stabilire il valore di mercato di un’opera non è una cosa semplice. Si parte dal problema che il valore dipende, come in ogni operazione di mercato, da quanto un compratore e un venditore sono, rispettivamente, disposti ad offrire ed accettare per lo scambio di un’opera. Il mercato fluttua molto. Si può pensare, ad esempio, ad artisti come Jean-Michel Basquiat, il cui valore di mercato si è moltiplicato astronomicamente negli ultimi trent’anni, o, al contrario, alle opere di Damien Hirst, che hanno subito un calo colossale. Oggi, oltre agli indici di vendita di opere già apparse sul mercato, il valore di un’opera d’arte di- pende da molti fattori sfuggenti, come il nome e il prestigio del- la galleria che sostiene l’artista, la visibilità delle sue opere in fiere e mostre importanti, e la suscettibilità delle mode e delle tendenze.
Anche i critici e gli scrittori contribuiscono, indirettamente o di- rettamente, a creare valore di mercato. Basti pensare alle opere del pittore rinascimentale Sandro Botticelli, trascurato per quasi 400 anni e senza alcun valore di mercato fino alla fine dell’Ottocento, quando fu “scoperto” dai pittori preraffaelliti britannici e “inventato” da John Ruskin e Walter Pater, nonché dal connoisseur Giovanni Morelli e dal suo ardente seguace Bernard Berenson. Si dice che nel 1867 il pittore Dante Gabriele Rossetti acquistò un’opera di Botticelli dal mercante Colnaghi per sole 20 sterline inglesi! Oggi un ritratto di Botticelli è stato stimato in un’asta da Sotheby’s 80 milioni di dollari. È facile capire quanto possa essere volubile il gusto artistico e come i valori di mercato possano cambiare radicalmente.
L’idea di un Ctu che fornisca i valori economici delle opere d’arte per la dichiarazione della soglia di valore potrebbe essere utile. Ma dobbiamo sapere dalla Camera di Commercio se esiste un elenco di Ctu preparati e qualificati a fare queste stime. Molti Ctu sono esperti di storia dell’arte, ma non di questioni di mercato.
Molti non sono specialisti di artisti specifici. Quali criteri useranno per determinare le soglie di valore e quali conseguenze ci saranno se commetteranno un errore di valutazione? Stabilire il valore culturale di un oggetto d’arte è altrettanto complesso. La norma non chiarisce chi determinerà esattamente questo valore culturale. Come saranno selezionati gli esperti dal Ministero per questo delicato lavoro? Si consulteranno con esperti esterni? Secondo quali criteri specifici sarà determinato il valore di un’opera d’arte per il patrimonio nazionale? E infine, se 60 giorni sono sicuramente efficienti per il Ministero per risolvere i casi semplici, se si trova di fronte un caso particolarmente difficile forse sarebbe utile riservare la possibilità di avere un periodo più lungo per effettuare la valutazione storica e culturale?
Il pubblico merita di sapere, con la massima trasparenza, chi prenderà queste decisioni e secondo quali linee guida, altrimenti la situazione rimarrà frustrante, nebulosa e opaca.